Prerogativa di ogni viaggiatori è quella di avere dei sogni nel cassetto. Ecco, il viaggio nel Chocó era uno di questi. So che molte persone non sanno nemmeno cosa sia il Chocó ma io l’ho coltivato a lungo, per ben cinque anni, prima di realizzarlo. E ancor non mi par vero…
Perché ho atteso tanto prima di avventurarmi in questo viaggio nel Chocó nonostante sia venuta in Colombia non una ma ben sei volte?
Semplicemente perché un viaggio nel Chocó non è un viaggio facile. Non che mi spaventino le difficoltà ma le informazioni reperibili sul web sono sempre state molto blande e poi subentrava qualcos’altro per cui il Chocó è rimasto lì, in attesa, perfettamente in sintonia con la mia filosofia per cui non sono io a condurre il viaggio ma è il viaggio a condurre me.
E quest’anno il viaggio ha voluto che realizzassi il mio sogno conducendomi nel Chocó.
Un angolo di mondo incontaminato e selvaggio a cui il concetto di turismo di massa, ma forse anche semplicemente di turismo, è ancora sconosciuto. Ecco perché tutto ciò che riguarda la preparazione di un viaggio nel Chocó è nebuloso.
Certo, se non fossi così restia a prendere aerei e se oltre ad avere tempo avessi anche soldi, sarebbe tutto più semplice, ma non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca, giusto? Rinuncio a dei mesi di stipendio per poter viaggiare più a lungo, ma questo comporta un grande spirito di iniziativa e una grande inventiva.
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Ma che cos’è, di preciso, il Chocó?
Il Chocó è un dipartimento della Colombia che si affaccia sul Pacifico. Tutto qua? Direi di no!
Il Chocó è quel dipartimento della Colombia in cui la giungla, sovrana indiscussa, convola a nozze con l’Oceano.
E ancora, il Chocó è quella parte di Colombia in cui sembra di essere in Africa più che in Colombia. E non solo perché sono tutti neri – qui si concentra la popolazione afro-colombiana del paese – ma per la forma in cui si esprimono, vivono, sorridono…
E come amo spudoratamente l’America Latina – per la sua forza, la sua energia, la generosità della Pacha Mama e della sua gente, “un pueblo sin piernas (que) pero camina” (Latinoamérica, Calle 13) – ugualmente amo l’Africa. Amo quella piccola parte di Africa che ho avuto il privilegio di conoscere e che mi ha accolta tra le sue braccia come una figlia nonostante il tono pallido della mia pelle…
Non voglio fare la sentimentale ma queste sono le premesse al mio desiderio di avventurarmi in un viaggio nel Chocò. E a ‘sto giro ero decisa a farlo, cascasse il mondo. Avere Conny come alleata è stato, come dire, un segnale. Anche se tutto un po’ nebuloso e secondo le poche informazioni reperite sul web poteva essere troppo caro per le nostre limitate finanze, non abbiamo mai pensato di rinunciare. Male che vada, ci siamo dette, busseremo alla porta di qualcuno, alla Pechino Express.

Il viaggio nel Chocó
Scorrono lente le ore sulla Karol Tatiana, il cargo che ci conduce a Nuqui. Lente, rumorose ma piacevoli. Se il buongiorno si vede dal mattino, direi che siamo a cavallo. Fossimo arrivate a Buenaventura solo qualche ora dopo, avremmo dovuto aspettare. Quanto non si sa, la concezione del tempo in Colombia è molto più dilatata che da noi. Proprio come in Africa. Ma noi abbiamo usufruito del ritardo della Karol Tatiana la cui partenza era prevista due giorni prima e ci siamo imbarcate al volo dirette nel Chocó.
Ventiquattr’ore cavalcando le onde del Pacifico e contemplando la costa frastagliata che timidamente si affaccia dalla selva su cui fluttuano, leggiadre, nuvole giocose. All’orizzonte un tramonto dai colori caldi, accesi, rincuoranti.

Ventiquattr’ore in cui pregusto lentamente quel che mi attende.
Ventiquattr’ore al termine delle quali vedo emergere Nuquí. Un bel nome non trovi? Un bel nome per chiamare questo pezzo di terra dimenticata da Dio e dagli uomini. Quattro strade che separano il río Nuquí Arriba dall’Oceano Pacifico.
Un’isola felice in cui internet e la globalizzazione sono concetti pressoché inesistenti, le macchine le hanno viste solo in televisione e la gente non diventa assillante perché prima di vederti come il turista ti vede come una persona.
Tuttavia, come ogni medaglia, anche Nuquí ha il suo lato oscuro. La maggior parte della gente vive in condizioni igienico-sanitarie ben al di sotto del limite di accettabilità e i bambini si lavano nel fiume in cui galleggiano beate orde di rifiuti. Ti chiedi, con un doloroso mix di disgusto e compassione, come fanno a vivere così. Qui come altrove. Chiudi gli occhi. Non puoi vedere questa realtà, è troppo dolorosa.
Poi però li riapri e incroci lo sguardo di un bambino – hai presente la luce che hanno negli occhi i bambini neri? – che irradia gioia e allegria e senza pensarci su resetti l’immagine e vedi Nuqui per quello che è. Un luogo fuori dal tempo e dallo spazio in cui frantumare i tuoi maledetti schemi mentali. Questo, quantomeno, è stato l’impatto che ha avuto su di me!

E se – e quando – tornerò in Colombia, Nuquí sarà il mio punto di partenza. Con le sue splendide spiagge e la sua atmosfera serena e rilassata. Playa Guachalito è di una bellezza inenarrabile. Sembra di essere naufragati sull’isola di Robinson Crusoe. Ma è solo una delle tante…
Non è stato facile sconfiggere la paura di cadere nel fiume. La lancia è a dir tanto il tronco di un albero intagliato e hai l’impressione di finire in acqua – un’acqua torbida di cui non vedi il fondo – ogni qualvolta starnutisce una zanzara. E nemmeno ce la siamo vista bene alla comunità indigena di Nuquí Arriba. Ci protrei scrivere un racconto ma mi limiterò a un breve sunto.
Dopo aver guadato pezzi di fiume e aver sfidato la giungla per un paio d’ore, ci siamo presentate alla comunità totalmente ignare di dover chiedere, e ottenere, un’autorizzazione. E così, in meno di dieci minuti, ci siamo ritrovate accerchiate e giudicate sulla nostra buona fede. Il rischio era quello di finire al cepo, uno strumento di tortura della comunità. L’idea di trascorrere due ore sotto il sole inclemente di mezzogiorno con le mani intrappolate in quell’aggeggio infernale non è stata certo la più elettrizzante del viaggio. Probabilmente gli indigeni hanno rincarato un po’ la dose ma io e Conny non ci siamo divertite affatto in quel momento, anche se fa parte dell’avventura giusto? Che ora posso raccontare ridendoci su e ricordando lo spettacolo che Nuquí mi ha regalato ogni giorno quando, affacciata dalla terrazza dell’Hotel Marimar, osservavo l’incedere lento della vita quotidiana.

E a distanza di una settimana esatta dall’inizio del viaggio nel Chocò lasciamo Nuquí dirette a Quibdo. La lasciamo a bordo di un velivolo a sedici posti – era la soluzione meno dolorosa, l’alternativa era quello a cinque posti già provato in un paio di occasioni, anche no… grazie! – che ci offre una panoramica a 360 gradi di uno dei polmoni del mondo, ancora vergine e incontaminato. E i chocoani ci tengono che resti tale… a ragion veduta, non ti pare?
La Globetrotter
Sei mai stato nel Chocò? E’ un luogo che ti ispira?
Se cerchi spunti per organizzare un viaggio nella terra di Márquez, leggi il mio post COLOMBIA TUTTA DA SCOPRIRE, un affresco su tutto ciò che questa meravigliosa terra ha da offrire. Altri articoli dettagliati sulla Colombia li trovi invece QUI.
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Immagini e impressioni meravigliose da un lato ed esperienze sconvolgenti di dura realtà dall’altro, forse non avrei il tuo coraggio di affrontarle. Quasi quasi preferisco prendervi parte attraverso il tuo racconto…coinvolgente come al solito.
Grazie Petra! Sai, a volte quando scrivo mi chiedo se non sto dicendo nulla di banale e scontato per chi mi legge. Poi mi dico di no perché non tutti abbiamo fatto le stesse esperienze e non tutti siamo inclini agli stessi luoghi e situazioni… per cui ecco, benvenuta nel Chocò.
Ciao ho letto il tuo aritcolo “Viaggio nel Chocó, dal Pacifico a Nuquí” molto affascinante ed avventuroso. Ma per fare whale watching ci sono tour organizzati? Qual’é la modo piú facile per raggiungerla?
Ciao Gianluigi, grazie infinite! Si è stato un viaggio stratosferico, te lo confermo! Sicuramente ci sono dei tour organizzati ma non ti consiglio di farli da Nuqui, a mio avviso potrebbe essere più facile ed economico da Bahia Solano, a Nuqui c’è poco e nulla di fatto e quel poco chiaramente costa caro. Considera che io sono stata due anni fa, mi ha detto un’amica che a settembre da Medellin vendevano pacchetti turistici per il Chocò e presumo siano diretti per lo più a Bahia Solano, mi spiace ma non ti posso dire di più perché non lo so… quando parti?
In una delle comunità Chachi dove sono appena stata..c’è il Cepo ma per i piedi e la punizione è 1/2settimane, quindi un paio d’ore potevamo anche farcele
Ahahah… ma faceva lo stesso caldo? Bene dai sei tornata alla anche tu alla civilta’! Besoooo
effettivamente il Choco, come tanti altri luoghi, manca nel mio vocabolario! ci è entrato adesso con irruenza e legittimità attraverso questo bellissimo racconto.
Cavolo Diana, ma davvero la tribù vi ha messo al ceppo in attesa??
Paura ed emozione pura!!
Buon viaggio!
Non mi ha messo per fortuna, magari non mi ci avrebbe messo però credimi… non sapevamo proprio cosa fare! Non conoscendo queste comunità non sai mai cosa può accadere e noi eravamo senza guida o meglio… con una guida farlocca! Comunque cepo o non cepo non abbiamo passato dei bei momenti… Grazie!
Dirti che sei straordinaria mi ripeto, che si unica divento noioso questo post credo di averlo letto diverse volte perché non capivo se era la sceneggiatura un film costruito ad arte o era qualcosa che solo tu potevi vivere e scrivere in quel modo.Grazie di tutto
Lo sai che mi fai montare la testa? Ma mi regali anche tanti sorrisi…