Qualcuno di voi si starà chiedendo perché scrivo un post di questo tipo. È risaputo che spesso e volentieri viaggio da sola, a che pro spendere tempo e parole sull’argomento? Beh, perché è un tema che ritengo di interesse comune visti i numerosi messaggi che ricevo frequentemente da ambo i sessi.
Dello stesso avviso sembra essere Momondo che ha deciso di investire in un progetto rivolto alle donne che amano viaggiare e ha identificato in me il prototipo della viaggiatrice solitaria e avventurosa. Il proposito, quantomeno nel mio caso, è quello di ispirare le donne che vorrebbero avventurarsi da sole e che, per paura e timore, non si azzardano a farlo.

Di viaggiatrici solitarie in giro per il mondo se ne incontrano un sacco ma in Italia siamo ancora delle mosche bianche. C’è chi ci ritiene folli, chi ci compatisce pensando che la nostra sia una triste condizione esistenziale e chi invece ci ammira per il nostro coraggio. Tuttavia, poco alla volta, ci stiamo emancipando! Non potevo certo tirarmi indietro di fronte a un tale invito.
Onestamente mi ritengo tutt’altro che intrepida ma credo fermamente che le paure vadano affrontate e non assecondate. Alcune volte aiuta, altre no! Nel caso di specie vi posso dire che la mia avventura di viaggiatrice solitaria è partita come una sfida contro me stessa ed è diventata, da lì a poco, una necessità.
In viaggio da sola… la prima volta
Il mio primo viaggio da sola risale al mese di gennaio del 2006 e coincide anche con il mio primo viaggio in Africa. Avrei sicuramente potuto iniziare con qualcosa di più soft ma non conosco mezze misure. Se faccio una cosa, la faccio e punto.
Premetto che non mi ritengo folle, non viaggio da sola perché non ho nessuno con cui farlo e, ribadisco, non mi sento nemmeno particolarmente coraggiosa. Viaggio da sola per scelta! Non sopporto le costrizioni e ne devo accettare già troppe nella vita di tutti i giorni. Almeno quando viaggio voglio essere libera di gestire il mio tempo e il mio spazio come più mi aggrada.
Prima di intraprendere il primo viaggio da sola mi ero sempre mossa in compagnia della mia amica Anna. Ricordo che quando ci capitava di incontrare viaggiatrici solitarie, per lo più straniere, sentivo non solo una grande stima ma anche una punta di invidia. A mio modo di vedere erano donne con le ovaie grandi quanto due palle da rugby e mi chiedevo perché non potevo essere come loro. La verità è che non mi sentivo all’altezza e, come a tante altre donne, avevo paura.
Poi una mattina, era il mese di ottobre del 2005, mi sono svegliata con una vocina che mi sussurrava beffarda all’orecchio: cos’hanno loro più di te? E così quel giorno ho deciso di buttarmi, più per mettermi alla prova che per altro.
Ovviamente non sono stata a rimuginarci su troppo a lungo e ho acquistato il biglietto senza farne parola con nessuno per non lasciarmi assalire da mille paure, mie e degli altri. Probabilmente, se c’avessi pensato su un po’ di più, non l’avrei mai fatto. E non perché sia stata una decisione sbagliata, anzi, con il senno di poi mi chiedo perché non mi sono decisa prima. Semplicemente ritengo che certe cose vanno fatte di pancia e non di testa.
Ricordo ancora l’adrenalina che mi scorreva lungo le vene quando sono uscita dal CTS. All’epoca mi terrorizzava anche l’idea di non avere un interlocutore fisico che mi consegnasse il biglietto in mano per cui capirete che imbarcarmi per un viaggio da sola era veramente una sfida!
I tre mesi precedenti la partenza sono letteralmente volati. Leggevo, studiavo, mi documentavo nei dettagli, divoravo tutto ciò che mi passava per le mani e cercavo conferme nei pochi conoscenti che in Senegal erano già stati. Ero preparatissima. Avevo il mio itinerario stabilito, ero a posto con le vaccinazioni e i medicinali, avevo persino rinfrescato il mio francese.
L’avventura sarebbe durata tre settimane, un lasso di tempo ragionevole sia per un primo viaggio da sola che per un primo viaggio in Africa. “Se non fa per me sono solo tre settimane, se invece mi piace sono ben tre settimane!” ricordo di aver pensato quando ho comprato il biglietto.
Fatto sta che il giorno prima della partenza mi sono guardata allo specchio con budini tremoli al posto delle gambe e mi è preso un attacco di panico. Ma cosa diavolo vai cercando? – mi sono detta. Con esattezza non lo sapevo nemmeno io…
Eh già, perché in tutta la fase di preparazione al viaggio non ho mai pensato a preparare me stessa. Con il senno di poi credo che l’essermi impegnata tanto con la testa per organizzare tutto in maniera capillare sia stato un modo come un altro per non lasciarmi fagocitare dalla paura. E quando ho realizzato che ne avevo, e ne avevo tanta, era troppo tardi per tirarmi indietro. C’erano in ballo il mio onore, il mio orgoglio e il mio amor proprio… oltre, ovviamente, al mio portafogli!
Così sono partita, con un mix di ansia e preoccupazione che si è moltiplicato all’ennesima potenza quando sono atterrata a Dakar. Erano le due del mattino e da perfetta viaggiatrice che ha tutto sotto controllo… non avevo prenotato un albergo per la prima notte pensando di trascorrerla in aeroporto. L’avevo fatto varie volte in altri paesi del mondo e non avevo mai avuto problemi. Non amo prendere i taxi, soprattutto di notte e in un paese sconosciuto. L’idea che all’aeroporto di Dakar non fosse consentito dormire non l’avevo nemmeno presa in considerazione.
Fatto sta che nel giro di pochi minuti mi sono ritrovata circondata da un gruppo di ragazzi che mi proponeva una sistemazione chez l’habitant. Immaginate la scena? Io, nanerottola pallida e terrorizzata, in mezzo a una decina di colossi neri dalle voci possenti che si sovrapponevano l’una all’altra. A un certo punto una di queste ha preso il sopravvento e mi ha raggiunta nitida e grintosa: perché dare i soldi ai francesi se puoi aiutare le famiglie senegalesi?
Erano quasi le tre del mattino, non avevo soldi, non sapevo dove andare ma mi era chiaro che non potevo restare là. Li ho scrutati uno a uno, ho scelto quello che mi sembrava più innocuo e gli ho fatto un cenno con la testa. Lui ha caricato il mio zaino e mi ha invitata a seguirlo.
Insomma, diciamo che come esordio non è stato dei migliori. Ma poi è andata alla grande!
I familiari di Félice erano talmente adorabili che alla fine mi sono fermata con loro una settimana. Lui mi ha accompagnata a visitare la città, mi ha presentata ai suoi amici, mi ha insegnato un po’ di wolof… e al rientro a casa mi attendeva ogni sera il calore di una famiglia! Povera, ma dannatamente umana.
Quando ho ripreso il mio viaggio, i bambini piangevano come fontane e Aicha, la madre, mi ha fatto promettere che sarei tornata a salutarli prima di ripartire.
Al momento di congedarmi mi sono resa conto che la paura si era totalmente dissolta e che senza rendermene conto avevo già iniziato a godere del fatto di essere sola, libera di muovermi assecondando esclusivamente i miei desideri. Se fossi stata in compagnia, molto probabilmente non avrei vissuto l’esperienza chez l’habitant.
Che poi, a dirla tutta, da sola non sono mai rimasta più di qualche ora. Oltre ai senegalesi, particolarmente socievoli e accoglienti, ho legato con un sacco di viaggiatori, per lo più francesi, condividendo con loro i momenti più intensi.
Ora, mi rendo conto che arrivare di notte in un luogo sconosciuto senza aver prenotato una cippa di niente è a dir poco azzardato. Soprattutto se sei una donna in viaggio da sola. A me è andata bene e ringrazio la mia buona stella ma credo che quella sera mi sia spuntato il primo capello bianco! Per cui il mio consiglio, che viaggio senza organizzare praticamente nulla, è quello di prenotare uno straccio d’albergo, quanto meno per la prima notte.
Inutile dirvi che le mie tre settimane in Senegal sono state incredibili, che al momento di salire sull’aereo ho pianto tutte le mie lacrime e che a partire da quel momento il fatto di viaggiare da sola è diventata una necessità… al punto che oggi il mio timore più grande è quello di sentirmi dire “vengo con te!”
In viaggio da sola… dodici anni dopo
A distanza di dodici anni dal mio primo viaggio da sola decido di tornare in Africa. In America Latina, senza falsa modestia, mi muovo un po’ come se fossi a casa mia. Sento il desiderio e la necessità di rimettermi in gioco e affrontare l’ignoto per cui decido di cambiare zona, lingua, cultura e di esplorare l’Africa Orientale.
Ancora una volta agisco d’impulso, senza pensarci troppo a lungo! Ancora una volta, pochi giorni prima della partenza, mi prende l’ansia. Non tanto per il Kenya che tutto sommato è un luogo turistico per cui, in un modo o nell’altro, me la caverò. Sono Uganda e Ruanda a spaventarmi.
La collaborazione con Azalai salta all’ultimo momento e mi ritrovo con un biglietto aereo in mano e nessuna idea di dove andare a sbattere la testa. Se non mi credete, fatevi un giro sul web e poi ditemi se la mia ansia non è giustificata. Non sono luoghi battuti da viaggiatori indipendenti, specialmente se soli e low budget. Inoltre il mio inglese non è allo stesso livello del mio francese e dello spagnolo che mastico quotidianamente per motivi di lavoro. Insomma, non mi vergogno a confessare che due sere prima di partire ho una vera e propria crisi isterica al telefono con la mia amica Samy. Giusto per darvi un’idea di quanto io sia coraggiosa e intrepida…
Come si suol dire, la notte porta consiglio! La mattina dopo mi sveglio con la consapevolezza che sarà un’avventura con la A maiuscola, come ai tempi in cui internet non esisteva ma nemmeno la Lonely Planet, o chi per essa. Con ciò non voglio dire di aver debellato la paura ma mi sono fatta forza e l’ho presa per le corna!
E ora che quest’esperienza è ormai giunta al termine, nonostante gli attacchi di bile, lo sconforto, i pianti e, a volte, la desolazione, sono felice di averla vissuta perché mi ha resa sicuramente una donna diversa. Più forte, coraggiosa, paziente ma soprattutto più consapevole delle mie capacità.
***
Ma torniamo ora agli aspetti pratici dell’affrontare un viaggio da sola. Che poi, detto tra noi, non sono così diverse da quelle che deve affrontare un uomo…
C’è chi mi chiede se non sento mai il peso della solitudine. Succede, inutile nasconderlo, ma molto raramente. Il più delle volte, quando viaggio da sola, i momenti di solitudine me li devo cercare. Perché spesso, soprattutto in certi paesi, è tutt’altro che facile ritagliarsi un po’ di tempo per se stesse.
Tra le difficoltà che si trova a dover affrontare una donna in viaggio da sola, direi senza ombra di dubbio le attenzioni eccessive, e spesso indesiderate, provenienti del sesso opposto. In Africa e in America Latina gli uomini sono di una noia mortale. Si innamorano tutti non appena ti conoscono, ma per lo più sono innocui e difficilmente trasformeranno il tuo viaggio in un incubo, soprattutto se sai essere incisiva.
A coloro che mi chiedono se non ho paura ad andarmene in giro per il mondo da sola rispondo che la mia filosofia di viaggio, e nella vita in generale, è quella di stare lontana dai guai.
Se mi dicono che un certo quartiere della tal città è pericoloso, semplicemente non ci vado! Magari poi non mi succederebbe nulla, ma perché devo correre il rischio? Per dimostrare cosa? E a chi? D’altronde, non vado nemmeno da sola a passeggiare la sera per le vie di Quarto Oggiaro, noto quartiere degradato di Milano, perché dovrei farlo quando sono in viaggio?
Ugualmente, se mi trovo in un paese mussulmano o machista evito un abbigliamento succinto che possa attirare l’attenzione o offendere il buon senso, senza necessariamente vederla come una limitazione della mia libertà. In fin dei conti sono in viaggio, non sto partecipando a una sfilata di moda.
Se la sera ho voglia di andarmi a bere una birra e non trovo un gruppo di gente a cui aggregarmi, specialmente se non sono nel paesino tranquillo dove si conoscono tutti ma nella grande metropoli, me la bevo dove alloggio o al bar dell’angolo, senza allontanarmi troppo. Giusto per fare qualche esempio.
Detto questo, sono anche fermamente convinta che una donna che viaggia, specialmente se viaggia da sola, sviluppa un istinto che nella maggior parte dei casi le consente di “sentire” le persone. Se partiamo dal presupposto che viaggiare significa conoscere un paese, la sua cultura, la sua gente, i suoi costumi… diffidare di tutto e di tutti è a dir poco frustrante! Bisogna imparare a fidarsi, e fidarsi delle persone giuste. In che modo? Allertando tutti i sensi per captare l’energia della gente che si incontra. E in ogni caso, con una mano sempre pronta sul paracadute da aprire in caso di necessità. Ma questo è qualcosa che si impara con il tempo, viaggio dopo viaggio, esperienza dopo esperienza.
In ogni caso ritengo che l’ebrezza di sentirsi libera e di non dover rendere conto a nessuno di come si occupano il proprio tempo e il proprio spazio sia la miglior terapia contro qualsiasi paura.
Concludendo, per come la vedo io un viaggio in solitaria è per una donna una vera e propria “palestra” in cui mettersi in gioco per affrontare il viaggio più intimo, verso quella parte di sé che resterebbe nell’ombra con qualcuno accanto, uomo o donna che sia. D’altronde, il punto di partenza per conoscere il mondo è la conoscenza dell’io… che presumo sia anche il punto di arrivo! Le difficoltà e le paure si affrontano e si sconfiggono. La libertà, una volta assaporata, diventa peggio di una droga…
La Globetrotter
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Volevo aggiungere una considerazione al bel documento di Diana: viaggiare da soli è facile e basta conoscere un po’ di inglese, ma è essenziale la propria intima convinzione di saper risolvere i problemi che eventualmente si presentassero in viaggio. L’esperienza poi insegna che tutti i problemi che si presentano in viaggio sono facilmente risolvibili, ma per partire e fare il primo passo bisogna esserne intimamente certi.
Certamente Lauro! Grazie mille… ovviamente bisogna avere una buona dose di self control e praticità, cose in cui tu sei il re e il mio mito!
Che dire Diana, nei tuoi racconti metti a nudo tutto di te, sei ammirevole e sincerann ho seguito tutto in questo viaggio e nn sapevo che infine nn hai portato avanti il tuo incontro con Azalai, Comunque grandissima esperienza vissuta. Alla prossima e tanta fortuna che ti meriti davvero. Un abbraccio virtuale
Ciao Virginia, scusa il ritardo con cui rispondo ma stavo rientrando alla base! Io sono così, varie volte mi sono sentita dire che dovrei essere più pratica quando scrivo e meno emotiva ma non ci riesco, per me il blog è un piacere perché oltre a viaggiare amo scrivere, se mi tolgo questo piacere diventa un lavoro e non c’è più gusto… e visto che mi leggi e continui a farlo, credo sia la strada giusta! Si, purtroppo non è andata come doveva ma non importa, è stata una grande prova per me perché pensavo di affrontare un certo tipo di viaggio e una volta li mi sono ritrovata a dover aggiustare il tiro ma alla fine me la sono cavata alla grande! Ci saranno altre occasioni… Un abbraccio anche a te
Imparare a fidarsi e “sentire” le persone, soprattutto quest’ultima è la tua più grande qualità! Sei forte, amica mia, sei veramente forte! Non vedo l’ora di riabbracciarti <3
Dai che in questi giorni ci vediamo, sono tornata… tu che viaggi come me sai bene cosa intendo!
Brava! Sono d’accordo con quello che scrivi. Anche io viaggio da sola da molti anni e questo mi dà una forza che mi riempie la vita! Mi piace da morire e non mi annoio mai. O meglio…a volte mi annoio ma mi piace pure questo. Assaporo ogni momento di libertà!
Solo tra di noi ci possiamo capire veramente Sabrina, lo sai questo vero? Grazie…
Avrei un voglia matta a provare a fare un viaggio da solo zaino in spalla ma!!!!!!! tra annessi e connessi mi resta solo aggrapparmi a te e sognare.Non sono tanto in sintonia quando si afferma che per certi viaggi in solitaria basta parlare un po d’ inglese per emulare ciò che tu fai o ci descrivi,bisogna dire che alla base non basta solo passione o spirito d’avventura occorrono cose che puoi apprendere col tempo ma certe cose le devi avere di tuo non le puoi imparare.Questo di seguirti è e rimarrà uno di quei sogna rari che al risveglio non lo dimenticherai ma rimarrà indelebile nella mia mente.Infinitamente GRAZiE
Grazie a te Alfonso! Mi hai fatto arrossire! Il fatto di sapere le lingue aiuta, così come aiuta l’esperienza… ma sicuramente è qualcosa che hai dentro e che a un certo punto non riesce più a restare lì, nascosto, e ha bisogno di evadere… almeno io la vedo così!
Grazie ancora per il bel messaggio mattutino…
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Ho sempre “sentito” le persone, non ho mai avuto bisogno di andare chissà dove.
Viaggiare da soli significa solo scappare.
Beata te Milly che hai la verità in mano, ma almeno l’hai fatto un viaggio da sola?
Viaggiare è bellissimo. Da soli non si è mai. Io sono un viaggiatore abituale, mediamente faccio viaggi da 20/25 giorni in tutto il mondo, ma sinceramente non mi sono mai sentito solo. I viaggi ti portano a nuove conoscenze, nuove avventure, nuovi mondi e nuove tradizioni da scoprire. Anche se non tutto va per come dovrebbe, basta non perdersi mai d’animo e tutto si sistemerà. Come dice qualcuno conoscere le lingue molto importante, ma io sinceramente tranne di un pò di inglese livello scolastico, non conosco altro. Ma sono andato diverse volte in cina, in brasile, emirati, caraibi, giappone, tailandia e tantissime altre mete che non sto qui ad elencare, ma male che vada usavo il traduttore quando mi trovavo in difficoltà. L’importante partire con tanta grinta e voglia di fare, conoscere, scoprire il mondo intero e soprattutto evadere dai problemi quotidiani.
Ciao Giovanni, sono perfettamente in sintonia con il tuo pensiero! L’importante è partire, conoscere e scoprire il mondo, tutto il resto si supera!