Tra tutte le emozioni che mi ha regalato La Globetrotter da quando mi sono imbarcata in quest’avventura, la più grande è sicuramente l’aver conosciuto tante belle persone alcune delle quali sono passate dal piano virtuale al piano reale. Superfluo a dirsi che nella maggior parte dei casi si tratta di grandi viaggiatori come il mio amico Riky con cui ho un’affinità elettiva non indifferente. Io ero in Sri Lanka mentre lui era in Camerun e attendevo con ansia il suo post giornaliero in cui mi aggiornava in tempo reale sul suo girovagare. Il Camerun è un paese che mi ispira un sacco e i suoi racconti mi hanno rievocato emozioni e scene di vita delle mie peregrinazioni in Africa Occidentale per cui sono lieta di riservare ai suoi racconti un piccolo spazio sul blog iniziando da alcune riflessioni sulle abitudini del viaggiatore.

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Il viaggiatore non deve avere abitudini

Il viaggiatore non deve avere abitudini

È sera. Sono seduto al tavolo di un bar con Calvin, un signore conosciuto qualche ora fa. Stiamo condividendo un piatto con un grosso pesce arrostito per strada dalle ragazze del paese e bevendo una birra calda che non riesce a lavare via la fatica della giornata. Si mangia con le mani. Calvin usa solo la destra come da buona norma africana. Io ogni tanto mi confondo e le uso entrambe pur sapendo che questo potrebbe suscitare un po’ di ribrezzo nel mio compagno di cena che però non dice nulla.

A un certo punto, quando il pesce è ancora lontano dall’essere totalmente spolpato, senza troppo pensarci tuffo le mani nella ciotola dell’acqua pulita che viene sempre portata insieme al cibo. L’unto della pelle del pesce è insostenibile per le mie mani bianche. Calvin mi guarda e, sorpreso, mi chiede:” Ma… hai già finito?”. Lo rassicuro che no, è stato un gesto istintivo dato dal fatto che non sono abituato a mangiare con le mani unte.

Ed è in quel momento, perso in un buco del mondo al lato di una strada trafficata e Dio solo sa come abbia fatto a finirci, che arriva una di quelle stoccate che mi lascia interdetto.

Le voyageur ne doit pas avoir d’habitudes” mi dice tranquillamente Calvin con i suoi occhi grandi e neri. Il viaggiatore non deve avere abitudini. Rimango muto, mi ha colpito, è forse questo il motivo per cui sono seduto a questo tavolo, perché le lezioni si possono prendere da chiunque e arrivano quando meno te l’aspetti, anche quando sei seduto in un buco di mondo senza senso.

Eh già, è forse questa la vera essenza del viaggiatore. Colui che ha dimenticato l’abitudine di aprire un rubinetto e vedere scendere l’acqua, magari anche calda, colui che ha dimenticato l’abitudine di aprire un frigorifero e trovare il cibo pronto, colui che ha dimenticato l’abitudine di giudicare dalle apparenze…

Calvin mi ha salvato, per questa e per tante ragioni. Ero lì sperso per la strada, a mezz’ora dal tramonto ovvero a trentacinque minuti dal buio, in questa cittadina sporca dove sembrava non esserci riparo. Ero lì che cominciavo a dubitare che qualcosa sarebbe andato per il verso giusto. Ed eccolo, gli chiedo aiuto, lui con la sua moto mi dice di salire, che conosce lui un posto dove posso dormire in sicurezza. Salgo. Non ho altre possibilità, mi fido. Questa lezione l’ho già imparata e la metto in pratica sempre. Mi fido perché solo fidandosi dell’altro, la vita ci regala sorprese.

Mi porta in un hotel sopra un bar chiassoso con un guardiano notturno che garantisce per gli ospiti. Vengo da una giornata di viaggio in bus, ho appena fatto in tempo a visitare la più grande chefferie bamiléké, quella di Bandjoun, la città in cui mi trovo, ed è già quasi buio.

Calvin si prende cura di me, dice che anche lui è stato un viaggiatore, un avventuriero aggiunge. Ha lasciato il Camerun alla fine degli anni ‘90. Una peregrinazione che l’ha portato a lavorare prima in Costa d’Avorio, poi Algeria, Marocco e poi passare quella frontiera proibita, Ceuta, un passo pericoloso che apre le porte della Spagna. E ce l’ha fatta, ha lavorato per anni nei cantieri di Barcellona per costruire le nostre belle case.

E sì, dice che mi capisce perché siamo tutti e due avventurieri. Solo che il mio è un viaggio avventuroso ma pur sempre di piacere mentre il suo è stato un viaggio “pour se gagner la vie”, per guadagnarsi la vita.

E questo fa di lui indubbiamente un avventuriero di serie A e di me un cadetto che ha solo tante cose da imparare su queste dannatissime e sporche strade d’Africa.

Mi saluta, passo una notte da incubo perché seppur nel locale sotto l’hotel non ci sia anima viva già alle nove di sera, agli africani piace la musica ad alto volume. Fino all’una di notte i muri tremano per i bassi sparati a tutta potenza. Scendo a lamentarmi con il custode ma sembra disinteressato al mio problema. Metto i tappi per le orecchie e aspetto che passi. Finalmente tutto tace, prendo sonno.

La mattina dopo mi sveglio presto, l’hotel si affaccia sulla trafficatissima strada Yaoundé-Bafoussam e i camion sfrecciano sbuffando fumo nero. Sulla strada ci sono già tutti i banchetti che vendono brochettes, i tipici spiedini di carne. E purtroppo ci sono anche i maiali vivi che piangono in attesa di venire trucidati per finire sulla griglia. Non è un bello spettacolo. Mi compro uno yogurt e ordino una omelette e un Nescafé in un baraccio di panche sgangherate.

Arriva Calvin, si sincera di come abbia passato la notte e freme perché vuole portarmi in giro con la sua moto a vedere la sua città, la “splendida” Bandjoun. Mi porta all’università costruita dal miliardario Victor Fotso, amico del quarantennale presidente del Camerun Paul Biya. Dopo un paio d’ore lo saluto, prometto di chiamarlo quando ripasserò di lì tra qualche giorno. Prendo un bus al volo, direzione Melong, capitale del caffè e del cacao camerunese, destinato – ça va sans dire – all’esportazione.

Dopo un paio d’ore di curve nel pieno delle verdeggianti colline dell’Ovest, arrivo a destinazione. Scendo al carrefour di Melong e mi raccoglie Olivier, un giovane moto-taxista che mi farà compagnia per tutto il pomeriggio. Sono stanco, decido di concedermi una notte “da occidentale” in un’accogliente villa immersa nei campi di banani in un villaggio a pochi chilometri da Melong. Tratto il prezzo, ottengo di pagare solo la metà del costo della stanza in quanto viaggio solo. Mi cambio e vado con Olivier a vedere le cascate di Ekom Nkam, le più famose cascate di tutto il Camerun dove negli anni ‘80 Christopher Lambert girò il film Tarzan. Impressionanti veramente. Un salto di ottanta metri in una gola da cui esce un vapore acqueo che risale tutta la collina.

Torno alla villa, sono veramente stanco. Ceno con Valerio e Yoko, una coppia italo-giapponese di cooperanti che sono in servizio a Sangmelimà, nella regione orientale del Camerun dominata dalla foresta equatoriale. Sono in viaggio per qualche giorno e condividiamo un buon piatto di pollo e una birra finalmente ghiacciata.

Domani è un altro giorno.

Riccardo Campanella

Se vuoi leggere altri racconti di Riky corri a visitare il suo blog, Terre Mai Viste Prima!

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