Chiamare questo post Tour della West Bank, un assaggio di Palestina è un eufemismo visto che a dir tanto la Palestina l’ho attraversata fisicamente. Era una delle cose che più mi interessava del viaggio in Israele ma un po’ per il caldo, un po’ per quelle che ritenevo fossero difficoltà oggettive, ho preferito optare per un tour organizzato in partenza da Gerusalemme che visitarla in autonomia. Mi sembrava la via più facile per farmi un’idea della situazione senza sbattimenti eccessivi e non ho pensato che senza sbattimenti non si porta a casa nulla.
Se hai a cuore la questione, so che Casa per la Pace organizza viaggi di avvicinamento alla Palestina che sono molto più istruttivi per cogliere una realtà complessa e drammatica come quella palestinese.
West Bank, Cisgiordania e Palestina
Non lapidarmi se scrivo qualche cavolata. La storia non è mai stata il mio cavallo di battaglia e peraltro non mi occupo né di geopolitica né di storia. Anzi, se hai voglia e modo di dirmi la tua, i commenti sono liberi e io sono ben lieta di leggerti e di arricchirmi.
Cisgiordania, West Bank o Palestina?
Quando ho pubblicato su facebook le foto del tour nella West Bank, qualcuno mi ha ribaltata accusandomi di essere stata addottrinata a usare il termine West Bank e invitandomi a chiamare questa terra con il suo nome, Palestina. La realtà è che non sono stata addottrinata da nessuno, si è trattato di pura e semplice superficialità. Ho preso parte a un tour della West Bank senza realmente interrogarmi sul perché venisse chiamato così.
Tra l’altro le guide di viaggio, Lonely Planet in primis, parlano di Cisgiordania o West Bank, in inglese. Siccome non amo essere colta in flagrante, ho cercato di documentarmi un po’ e a quanto ho capito la West Bank è quella parte di Palestina che in seguito alla guerra arabo-israeliana del 1946 passò sotto il controllo giordano, da cui il nome Cisgiordania. Alla fine degli anni Ottanta, dopo varie tribolazioni tra cui la Guerra dei Sei Giorni del 1967, la Giordania vi rinunciò definitivamente conferendone la sovranità all’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina).
Avrò peccato di superficialità ma non mi sembra di aver commesso un errore imperdonabile.

Prima tappa del tour della West Bank: Ramallah
Partiamo per il tour della West Bank subito dopo colazione e recuperiamo la nostra guida palestinese alle porte di Ramallah, una decina di chilometri a nord di Gerusalemme. Siamo in Ramadan e sembra di entrare in una città fantasma. Poche macchine in giro, esercizi commerciali chiusi, qualche anima che si aggira per le strade. Durante il Ramadan, la città inizia ad animarsi nel pomeriggio e vive per lo più di notte ma generalmente è una città cosmopolita e molto vivace. Questo, quantomeno, quel che ci dice la guida e io lo prendo per buono.
Ramallah, cuore politico ed economico della Cisgiordania, venne rasa al suolo durante la Seconda Intifada ed è qui che Yasser Arafat trascorse le ultime settimane di vita, prigioniero nel suo quartier generale assediato dall’esercito israeliano. Il tour prevede una sosta a Muqata’s, il complesso presidenziale che ospita la tomba del leader palestinese.

Seconda tappa: Gerico
Lasciamo Ramallah e ci dirigiamo a Gerico che deriva dalla parola araba ariha la cui radice, ruha, significa profumo. Il paesaggio che si profila davanti ai nostri occhi è sublime.
Durante il tragitto chiedo alla guida di parlarmi un po’ della Palestina, mi interessa sapere il suo punto di vista, sentirmi raccontare la storia dalla voce di questa terra. Inizia dalla Genesi, con una voce cantilenante e sommessa. Quando si avvicina al nodo della questione tutto il pullman sonnecchia ma sono ugualmente contenta perché mi ha promesso che ritaglierà quindici minuti per portarci in un campo profughi. Ho letto sulla Lonely Planet che è possibile visitarli in compagnia di una guida e la nostra mi sembra sul pezzo.
Dopo esserci fermati alla fonte battesimale di Gesù Cristo raggiungiamo Gerico, ritenuta dalle autorità locali “la più antica città al mondo abitata ininterrottamente dall’uomo”.

Saltiamo a pie pari la città e approdiamo al sito archeologico di Tel al-Sultan, l’antica Gerico, che se non ho capito male risale al 10.000 a.C.. Fa un certo effetto, non c’è che dire.
Secondo le fonti, Gerico è la prima città conquistata dal popolo d’Israele dopo aver errato per quarant’anni nel deserto. In seguito a varie vicissitudini, anche Gerico finì nelle mani di Erode il Grande che vi realizzò alcuni acquedotti e un ippodromo. Nel I secolo d.C. divenne la località di villeggiatura prediletta dall’aristocrazia di Gerusalemme. Trascorrerei ore camminando per i resti di quest’antica città e lasciando vagare la mia mente nella sua storia millenaria, ma il tour non lo consente. È ora di pranzo e bisogna rimettersi in cammino.
Terza tappa: Betlemme
La terza tappa prevede la visita di Betlemme che è un po’ la punta di diamante del tour nella West Bank. La sorpresa inaspettata è il pranzo consumato a casa della nostra guida. Un pasto semplice ma saporito a base di couscous palestinese – per chi non lo sapesse è diverso dal couscous arabo, un po’ più grosso, sembra quasi pastina – e uno stufato di carne e piselli. Delizioso!
Sono due ore davvero piacevoli quelle che trascorriamo a casa sua con la madre, emigrata in Germania quando ancora io non ero nata, che ci commuove con i suoi racconti e reclama la pace. Punta molto sul concetto di frontiera. Fisica, mentale, culturale. Un incontro interessante che mi mostra un popolo ospitale e generoso ma anche un popolo stanco e sfinito. Passerei tutto il pomeriggio ascoltandola e come me credo la maggior parte del gruppo, ma la nostra guida ci richiama all’ordine. È ora di andare.

Su Betlemme non credo ci sia molto da dire, è un’immagine iconica un po’ per tutti noi quantomeno dal punto di vista storico e religioso. Oggi è in realtà una cittadina brulicante e congestionata dal traffico atta ad accogliere turisti da tutto il mondo. Non essendo credente non mi aspettavo nulla di che. Bella ma priva di autenticità anche se, lo confesso, entrare nella Basilica della Natività con tutto ciò che rappresenta per la nostra cultura è decisamente toccante.

L’emozione più grande, tuttavia, è quella data dalla sfilza di murales realizzati sul muro fortificato che separa Betlemme da Gerusalemme. Un inno alla libertà della Palestina che fa venire un soffio al cuore.
LEGGI ==> The World of Banksy alla Galleria dei Mosaici di Milano
E dopo la tappa a uno degli hotel più lussuosi di Betlemme di cui nemmeno ricordo il nome e un’altra al negozio di souvenir si rientra alla base.
Ma il campo profughi? – si chiederà qualcuno. Triste a dirsi ma non tutti sono capaci di mantenere le promesse. La nostra guida ci lascia con l’amaro in bocca dicendo che se n’è dimenticato. Probabilmente preferisce non mettersi contro la politica del Tour Operator, non so che dire. Fatto sta che l’unica cosa che per me avrebbe dato un senso al tour della West Bank si è dissolta come una bolla di sapone.
Considerazioni finali sul tour della West Bank
Sono una persona che cerca sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno per cui non ti sconsiglierò di partecipare al tour della West Bank, anzi, riconosco che dal punto di vista storico e religioso qualcosa me l’ha lasciato. Non era quello che cercavo ma l’errore è stato mio.
Credo che la Palestina meriti un viaggio a sé ed è per questo che ti ho citato i viaggi di avvicinamento organizzati dalla Casa della Pace a cui, chissà, magari un giorno aderirò. Probabilmente anche in loco avrei potuto trovare qualcosa di più “consapevole e responsabile” ma non mi sono presa la briga di cercare. Quel che è certo è che questo tour della West Bank ha acceso in me la voglia di approfondire per cui ti prego, se hai consigli, di qualunque tipo, che siano libri, film, documentari, incontri o suggerimenti, lasciameli nei commenti, per me e per tutti coloro che passeranno da queste parti.

La Globetrotter
Se cerchi spunti per organizzare un viaggio nella Terra Promessa, leggi il mio post ISRAELE: ITINERARIO E CONSIGLI UTILI PER UN VIAGGIO FAI DA TE, oppure clicca QUI per tutti i racconti on the road.
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Diana! Tu in viaggio organizzato! 😀 Stento a crederci!
Non conosco l’argomento ed i luoghi che hai trattato in questo post e volevo sorvolare su questa lettura.
Ma è Diana che scrive -ho pensato- e l’ho iniziato.
Manca un po’ della tua tipica immersione fra la gente che ti caratterizza ma trovi sempre particolari gustosi da scrivere…. e neanche stavolta mi son potuto fermare prima dell’ultima parola.
Al prossimo viaggio mentale con te Diana
Grazie Andrea, sei sempre un gran tesoro! Dai che tra poco andiamo a farci un bel viaggetto al lago insieme…
Grande! Preparo lo zaino con il kit di sopravvivenza: coltello a serramanico, salame, pan biscotto e due… anzi tre bottiglie di prosecco 😉
Mi sembra un’ottima decisione Andrea! Soprattutto il salame e il coltello a serramanico…
ciao Diana,
ho trovato ieri sera questo tuo post e ho pensato di lasciare qui qualche indicazione per chi, oltre a te, potesse essere interessato.
Un saggio fondamentale per capire come è cominciata l’occupazione della Palestina l’ha scritto uno storico israeliano, Ilan Pappe, e si intitola “La pulizia etnica della Palestina”.
Lui e Noam Chomsky hanno scritto diversi testi sulla questione palestinese.
Per leggere una voce palestinese consiglio “Sposata a un altro uomo”, di Ghada Karmi.
La letteratura sulla Palestina è vastissima. Questi direi che sono ottimi punti di partenza, ma altrettanto utile sarebbe leggere autori come Ghassan Kanafani, Edward Said, Mahmoud Darwish, o Gilad Atzmon, Shlomo Sand, Norman Finkelstein.
Un documentario che racconta molto bene la storia e il presente è “Roadmap to apartheid”, bisogna procurarselo, però. Invece “This is my land Hebron” lo si trova anche su youtube, sottotitolato in italiano https://www.youtube.com/watch?v=A5kfE5uDEBY La filmografia è molto ricca. Per cominciare, consiglierei: “Tomorrow’s Land”, “5 Broken Cameras”, “Occupation 101”, “Jenin, Jenin”. O, per uscire dall’ambito del documentario: “Omar” e “Il sale di questo mare”, della cui regista è ora nelle sale “Wajib”.
Su internet c’è tanto materiale disponibile. Consiglio i video di Paolo Barnard (per esempio, questo https://www.youtube.com/watch?v=PZKH46J9s4k e questo https://www.youtube.com/watch?v=s4iuXIVrhhA )
Il sito http://www.breakingthesilence.org.il è gestito da un’associazione israeliana fondata da ex militari dell’esercito israeliano (IDF) che raccoglie testimonianze di soldati che operano a contatto con i palestinesi. Qui un breve articolo che lo presenta: http://espresso.repubblica.it/internazionale/2016/03/02/news/che-cos-e-breaking-the-silence-1.252377
Altre fonti preziose, in italiano, per essere aggiornati e al contempo trovare indicazioni su testi e materiale politico e culturale di ogni genere sono i siti http://www.bdsitalia.org e http://www.invictapalestina.org.
In uno degli articoli più recenti pubblicati da quest’ultimo si parla di una rivista scritta di nascosto dalle giovani detenute palestinesi di un carcere israeliano. In questa rivista le ragazze raccontano che nel carcere vige il divieto di pronunciare la parola “Palestina” e di disegnarne la bandiera. I secondini entrano nelle celle ogni mezz’ora per controllare che cosa viene detto. Conosco gente che è stata arrestata per aver dichiarato alla dogana di Tel Aviv di voler entrare in “Palestina”. Questo è il motivo per cui le parole “israele” e “Palestina” non indicano aree geografiche, ma universi inconciliabili di pensiero politico e umano.
“Israele” è uno stato nato da un genocidio (è questo che dimostra Ilan Pappe) che ha come obiettivo scoperto l’espulsione dei palestinesi dalla regione. Ogni organizzazione che pone l’accento sulla “pace” e sulla non-violenza invece che sulla soluzione politica di un crimine che è cominciato 70 anni fa e non si è mai fermato non è a mio parere un buon punto di riferimento.
Per quanto riguarda i campi profughi, io credo che abbia fatto bene la guida palestinese a “dimenticarsi” di portarvici, perché non sono luoghi adatti alle visite turistiche. Immagina di essere una terremotata e di vederti arrivare un gruppo di turisti in visita alla tendopoli in cui sei stata costretta a rifugiarti. Immagina ora che questo terremoto non sia stato affatto un evento naturale, e che venga rinnovato quotidianamente da 70 anni con la complicità dei governi di quegli stessi turisti… Tra l’altro, tu viaggiavi con un’agenzia sionista, che a maggio ha celebrato la creazione dello stato di “israele”, cioè la prima, violentissima, scossa che ha costretto quelle persone nei campi profughi sottraendo loro casa, terra e prospettive di vita. Mi risulta difficile immaginare che foste benvenuti in un campo profughi e ancora più difficile immaginare che l’agenzia fosse disponibile a rendervi testimoni di che cosa significa davvero l’occupazione.
Ciao Roby, intanto grazie! Questo non è un semplice commento ma un cofano di informazioni preziose che saranno utili a me in primis e a tante altre persone che apprezzeranno i tuoi suggerimenti! Si, probabilmente hai ragione sulla storia dei campi profughi, non sempre la voglia di capire passa per la via più giusta! Non sempre è facile dire come stanno le cose soprattutto in situazioni come quella della Palestina! Avrò da studiare parecchio… grazie ancora!
ciao Diana, felice di essere stata utile. È raro trovare persone così aperte e davvero interessate ad approfondire. È stato un piacere. A presto!
Probabilmente avrei dovuto interpellarti prima di partire e arrivare lì con un po’ più di cognizione di causa ma è inutile piangere sul latte versato… la Perassi ha lasciato il segno! Alla prossima…
“Perassi” <3
Grande donna!
Da persona appassionata della causa palestinese voglio ringraziare Diana per il resoconto, per la generosa curiosita’ espressa dal suo viaggio e per aver ritagliato uno spazio, anche piccolo, per raccontare qualcosa di diverso da un semplice resoconto sui siti turistici, le spiagge, etc. Giusto una puntualizzazione, per coloro che leggeranno il tuo blog e magari non hanno dimestichezza con la storia della Palestina. La Cisgiordania è occupata dalle truppe israeliane dal 1967, e con essa tutta la sua popolazione. La Cigiordania (e Gerusalemme Est) non erano mai state incluse all’interno dei confini di Israele da nessuna partizione riconosciuta dalla comunità internazionale. Non solo Israele occupa queste terre illegalmente (come dichiarato dalla Corte Internazionale dell’Aja in una advisory opinion del 2004) ma a cominciare dagli anni 90 Israele ha sistematicamente cominciato a costruire insediamenti ebraici su territori palestinesi, traspostando oltre 500,000 israeliani sui territori occupati, sottraendo acqua e terre ai palestinesi, e rendendo di fatto impossibile la creazione di uno stato palestinese che abbia una continuità territoriale. La popolazione palestinese è soggetta ad una vero e proprio regime di Apartheid. Terrorizzata continuamente dalle truppe di occupazione, limitata nei suoi spostamenti da un villaggio all’altro, isolata dal resto del mondo (se vogliono viaggiare all’estero i palestinesi devono chiedere permesso ad Israele col riscchio che non siano più autorizzati a tornare a casa propria) costretta a subire abusi di ogni tipo, incluso veder confiscate le proprie case e le proprie terre e subire devastazioni gratuite ai propri uliveti.
Grazie infinite Sergio per questo tuo approfondimento che non servirà solo a chi passa da qui ma a me per prima che ho affrontato Israele con una superficialità che generalmente non mi contraddistingue ma ho imparato la lezione… grazie ancora!