“Vieni a vedere Banksy stasera?”. “Mi piacerebbe, purtroppo lavoro.”, “Se me l’avessi detto prima…”, “Bello, ma chi è?”. L’ultima è la nonna, ma a 92 anni suonati vogliamo fargliene una colpa? Ci metterei la firma per arrivare alla sua età indipendente e autonoma come lei, non si può avere tutto dalla vita.
Lasciamo da parte la nonna e torniamo a The world of Banksy, un’esperienza immersiva nel mondo dell’artista che dallo scorso 3 dicembre anima la Galleria dei Mosaici di Milano. Devo ringraziarlo due volte: la prima per avermi regalato momenti di pura catarsi e la seconda per avermi fatto scoprire l’esistenza di un posto interessante a due passi da casa. La Galleria dei Mosaici si trova all’ultimo piano della Stazione Centrale, un luogo che per ovvie ragioni frequento sempre con grande piacere.
La nonna torna a chiedermi chi è Banksy, magari due parole gliele dedico e chi sa mai che non racconti qualcosa che possa sorprendere anche te.
Banksy è uno di quei personaggi che rendono “bello” il mondo e lo fa attraverso l’arte, restando nell’ombra. Sembra una contraddizione, ma è così.
Banksy è uno degli Street Artist più noti a livello internazionale, ma nessuno sa con certezza chi si nasconda dietro il suo nome e di lui, in quanto uomo, si conosce solo il pensiero che permea i suoi lavori.
Non so perché le persone siano così entusiaste di rendere pubblici i dettagli della loro vita privata, dimenticando che l’invisibilità è un super potere.
C’è chi ipotizza si tratti di una donna, chi di un collettivo di artisti riuniti sotto lo stesso nome, chi lo identifica con il musicista e graffitista Robert Del Naja dei Massive Attack e chi, servendosi di un metodo d’indagine utilizzato per la ricerca di criminali noto come “profilazione geografica”, ha stabilito la sua connessione con la famiglia Gunningham di Bristol, fissando la sua nascita nella prima metà degli anni Settanta del secolo scorso.
Nel mondo contemporaneo governato dai Social e incentrato sull’esibire la propria vita ben più del necessario, lui ha scelto di mantenere la privacy e dialogare con l’esterno ricorrendo alla funzione sociale dell’arte. Chapeau! La nonna strizza l’occhio: con la sua aura di mistero ha conquistato anche lei.
Utilizzando la tecnica dello stencil, di cui è divenuto uno dei punti di riferimento sulla scena internazionale, Banksy rappresenta temi densi di contraddizioni legati alla politica, alla cultura e all’etica e lo fa in maniera quasi irriverente, permeando le sue opere di quella satira raffinata che ti colpisce come un pugno in faccia, senza farti troppo male.
Di fatto è un attivista, non un guerrafondaio e il suo obiettivo è trasformare il tessuto urbano in un luogo di riflessione dove sensibilizzare l’osservatore, alias il semplice passante, su problemi che affliggono la società contemporanea.
Ma lo stencil, esattamente, cos’è? Domanda più che lecita e non solo da parte della nonna.
Lo stencil è una tecnica artistica che unisce la meticolosità e la precisione alla rapidità di realizzazione, necessaria quando si “imbrattano” muri illegalmente. Ricordiamo che fino a pochi anni fa la Street Art non godeva dello status attuale ed era più vicina al vandalismo che all’arte per cui bisognava agire in fretta per non rischiare di finire nelle grinfie della polizia.
La tecnica dello stencil parte da una maschera che fa da negativo dell’immagine: una volta posizionata sul muro che si vuole dipingere, si procede spruzzando il colore negli spazi vuoti. Questo il riassunto per i profani come me, ma se ti interessa approfondire puoi leggere quest’articolo sulla Stencil Art nel XXI che ho trovato molto valido. Alla nonna glielo riassumo a voce perché, per quanto sveglia, qualche problema a conciliarsi con il mondo virtuale tuttora ce l’ha!
The World of Banksy – The Immersive Experience a Milano
Di esperienze fuori dal comune, nella vita Banksy ne ha fatte parecchie ed è la sua arte a parlare per lui. Nelle due sale della Galleria dei Mosaici è possibile ammirare oltre 130 opere dell’artista, simbolo di lotta e di protesta verso il mondo contemporaneo governato dagli interessi economici, a discapito del bene della collettività.
Accanto ai capolavori iconici – come Girl with Balloon, utilizzata più volte per supportare campagne sociali – The world of Banksy presenta una trentina di opere mai esposte prima, oltre alla sezione video che ripercorre la storia e il messaggio dei suoi lavori realizzati su strade, muri e ponti di tutto il mondo. Io l’avevo visto in Palestina, durante la visita di Betlemme ed è il caso di dirlo, un pugno nello stomaco sull’altro!
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Ora, se Banksy è il primo a lasciar che sia l’arte a parlare al posto suo, credo sia giunto il momento di seguirlo a ruota e defilarmi dietro qualche scatto “rubato” dal suo mondo qualche giorno fa.
The Immersive Experience si apre con una delle sue opere più toccanti, No Future (2010), con la lettera O che funge da palloncino per il bambino, attenuando la visione pessimista che si ritrova in molte sue opere.

Keep Your Coins, I Want Change (2004) fu scoperta a Melbourne, in Australia, su una strada all’esterno di un edificio. È diventata “virale” – nonostante l’assenza dei social che all’epoca non credo esistessero – per il suo significato profondo: un senzatetto sembra chiedere l’elemosina ma al posto dei soldi, reclama un cambiamento sociale.

Create Escape è una delle sue ultime opere (2021) a sostegno della campagna per trasformare l’ex prigione di Reading in un centro culturale: l’uomo, un carcerato, fugge usando una corda fatta di carta proveniente da una macchina da scrivere.

Sale ends today (2004) è un altro dei cavalli di battaglia di Banksy e denuncia il fervore quasi religioso della società contemporanea verso i beni di consumo.

E vogliamo parlare di Barcode Leopard (2002)? Messaggio semplice e diretto, tipico di Banksy: il leopardo in fuga dalla gabbia, rappresentata come un codice a barre, è un chiaro attacco alla cultura schiavizzante del consumismo.

Steve Jobs (2015) è un’altra bella provocazione! L’opera, dipinta su un muro all’ingresso della Giungla di Calais dove si registra un grande transito migratorio verso l’Inghilterra, ritrae Steve Jobs con jeans e dolcevita, un fagotto in una mano e un computer nell’altra. Il messaggio di Banksy, ancora una volta, è più che eloquente: i paesi che vogliono tenere fuori i rifugiati, potrebbero privare il mondo del prossimo genio. A scanso di equivoci, Steve Jobs era figlio di un immigrato siriano!

Chiudo con una citazione e un’ultima incommensurabile opera dell’esperienza di The World of Banksy che lascio a te il compito di interpretare.
Non c’è nessuno di più pericoloso di chi vuole rendere il mondo un posto migliore.


The World of Banksy – The Immersive Experience a Milano (in alternativa c’è anche a Torino) è stata prorogata fino al 15 maggio 2022 per cui sì, mi tocca tornare e portare la nonna che mi sta dando il tormentone ma per Banksy, mi sacrifico più che volentieri!
La Globetrotter
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