Un viaggio è fatto di tante cose. È fatto di luoghi, profumi, tradizioni. È fatto di gioie, di dolori, a volte anche di sensi di colpa. È fatto di incontri ed è fatto di storie. Storie che a volte rimuovi e che poi, per caso o per destino, torni a incrociare. Storie da raccontare perché sono esempi di vita come la storia di Teresa, un’infermiera conosciuta a Kolkata durante il mio viaggio in India del 2009. Una storia che avevo dimenticato e che, a distanza di anni, è tornata a me.

Ma prima di raccontarti di Teresa, è giusto dirti che per me l’India è stata un pugno nello stomaco. Forte! Forse non ero pronta e l’arrivo a Kolkata nel cuore della notte non mi ha certo aiutata. Se fossi stata sola credo che non ce l’avrei fatta.

Ricordo come fosse ieri il tragitto dall’aeroporto a Monica House, la guesthouse dove io e Simona avevamo prenotato due letti in camerata. Rivedo la città che mi scorre davanti attraverso il finestrino e i chilometri di corpi buttati a terra come stracci usati. Uomini e donne, vecchi e bambini, senza alcuna distinzione di sesso o di età: “La differenza la fa la casta” ricordo di aver pensato con rabbia. Una rabbia esplosa in un singhiozzo strozzato tra la calura opprimente e l’odore di umanità proveniente dalla strada…

alt="La storia di Teresa ha inizio qui, tra la miseria e la sporcizia di Kolkata"
La miseria e la sporcizia di Kolkata

La mattina seguente, dopo colazione, ho conosciuto Teresa.

L’ho conosciuta a Nimal Hinday, la casa del moribondo di Madre Teresa, dove lavorava come volontaria da oltre dieci anni. L’ho conosciuta perché io e Simona dovevamo consegnarle delle medicine introvabili in India. L’ho conosciuta e sono scappata via lasciando Simona in mezzo a tutto quel dolore fisico, così visibile da poterlo toccare.

Sono scappata fuori, non ce la facevo. Mi sono seduta su un muretto e ho acceso una sigaretta. Alla mia sinistra un cumulo di spazzatura e in mezzo a quel cumulo, un uomo. Ricordo di aver aguzzato lo sguardo per capire se era vivo o morto e di aver tirato un sospiro di sollievo quando l’ho visto muoversi. Ma è stato solo un istante, giusto il tempo di realizzare che la gamba dell’uomo stava per marcire.

La mano di Teresa sulla mia spalla è stata una manna dal cielo. Stavo per perdere i sensi. Le ho chiesto con la voce spezzata perché non lo portavano dentro per curarlo. “Quell’uomo è lì da giorni e giorni. Stanno aspettando che gli vengano i vermi e che non ci sia più nulla da fare. A quel punto le sorelle lo accoglieranno nella casa e lo accompagneranno fino alla morte” mi ha risposto con un misto di amarezza e rassegnazione.

C’era disappunto nella sua voce, o forse è quello che io ho voluto vedere. Il disappunto di una donna di settant’anni che dopo aver lavorato una vita curando bambini ammalati di tumore, ha scelto di dedicare le sue ultime energie a questo popolo. E che di fronte all’aberrante realtà, non può fare altro che arrendersi…

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Teresa, l’infermiera miracolata a Kolkata

Dal Nimal Hinday abbiamo raggiunto il Nirmala Shishy Bhavan, l’orfanotrofio di madre Teresa che ospita bambini abbandonati e con malformazioni fisiche e mentali. I bambini sono portatori di gioia, sempre e comunque. I bambini del terzo mondo, in particolare, hanno negli occhi una luce in grado di far vibrare le corde di qualsiasi strumento, anche quello più scordato. Stare a contatto con quei bambini è stata una delle emozioni più intense e devastanti di tutto il viaggio.

La sera, fisicamente ed emotivamente sfinite, siamo rientrate a Monica House e ad attenderci abbiamo trovato Teresa. Voleva ringraziarci. Lei, che ha dedicato la sua vita ad aiutare il prossimo, ringraziava noi.

Hai una vaga idea di quanto mi sia sentita piccola in quel momento? Mi sono sentita talmente piccola da aver rimosso, per anni, la sua storia. Ho cancellato la storia di Teresa, la storia di una vita vissuta che mi è stata raccontata. Me ne vergogno! E mi sono sentita ancora più piccola quando la mia amica Conny me l’ha rievocata. Perché la storia di Teresa è la storia di un miracolo e io quel miracolo l’ho toccato con mano…

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Scorcio di vita reale a Kolkata

La storia di Teresa

Devi sapere che dopo aver lavorato per anni come infermiera in un reparto di oncologia infantile, Teresa scoprì di avere il cancro alla mammella. Lo scoprì in un giorno di gioia. La sera stessa avrebbe dovuto festeggiare il suo pensionamento. Operata d’urgenza il giorno seguente, le venne effettuata una mastectomia totale. Quindici giorni dopo, per non cadere in depressione, Teresa decise di partire. Si recò in un’agenzia viaggi e si unì a un tour in partenza per l’India. Una tosta, non c’è che dire. Sicuramente molto più di me.

Il tour a Kolkata prevedeva anche la visita a Madre Teresa ma lei non era particolarmente interessata all’incontro e restò in piedi in fondo alla stanza. A un certo punto Madre Teresa la invitò ad avvicinarsi adducendo che la donna aveva qualcosa da dire. Teresa restò lì, nel suo cantuccio. Non sentiva, non pensava, non aveva nulla da dire. Ma Madre Teresa non demorse. Una volta, due volte, poi Teresa, senza nemmeno rendersene conto, aprì la bocca e disse: “è vero, ho qualcosa da dire. Mi fermo qui a lavorare.”

E così ha inizio la sua nuova vita. In India, a Kolkata, insieme ai bisognosi, i malati, i mendicanti e tutte le persone che giungono a Kolkata per aiutarla nella sua missione. Una persona più vicina agli ottanta che ai settanta ormai…

Quando Conny mi racconta questa storia, il ricordo dei momenti vissuti a Kolkata che avevo lasciato assopire per tutti questi anni torna a galla, prepotente. Una macchina del tempo mi catapulta a quei giorni e rivivo il sollievo della sera in cui, in taxi, ho lasciato Kolkata. Di notte sono arrivata e di notte sono ripartita osservando dal finestrino la città esausta e sfinita dal caldo cadere tra le braccia di Morfeo, con una sfilza di uomini, donne, vecchi e bambini riversi a terra, sui tetti delle macchine o all’interno dei risciò.

E da quando ho incontrato Conny e mi ha raccontato di Kolkata che non faccio altro che ripensare a quella gente. Gente che dorme per strada perché la strada è la sua casa. Gente che non ha nulla ma che forse ha più di quanto io riesca anche solo immaginare.

Da quando Conny ha rievocato in me il ricordo della storia di Teresa sento il desiderio di tornare in India, di tornare a Kolkata… il perché non lo so nemmeno io, forse è semplicemente giunto il momento di iniziare un altro viaggio, di scoprire un altro mondo…

alt="A Kolkata, in mezzo alla gente"
A Kolkata, in mezzo alla gente

La Globetrotter

Se sei stato in India, sono sicura che avrai qualche parola per me. E se invece non ci sei stato, può essere che tu abbia qualche domanda? Ti aspetto nei commenti

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18 pensieri su “Storia di Teresa, l’infermiera miracolata a Kolkata

  1. LAURO dice:

    Cara Diana, è stata con molta commozione che sono entrato nei tuoi ricordi così ben descritti. In India ho adorato i suoi monumenti antichi e ho odiato le città, dove il sistema delle caste, come dici anche tu, impedisce il miglioramento del tenore di vita. Dal mio punto di vista ateo le religioni servono a garantire ai ricchi e potenti di restare per sempre ricchi e potenti, e in India i ricchi e potenti hanno creato una religione perfetta, per loro. Ho una ammirazione sconfinata per Madre Teresa e Gandhi e, pur ateo, sono andato a San Pietro anni fa quando c’è stata la cerimonia di beatificazione di Madre Teresa, come mio personale misero omaggio per quella donna che , una volta tanto, ha elevato il basso valore medio della razza umana.
    Parlando dell’India, direi che va visitata da turista e non da viaggiatore, con grande distacco, perchè altrimenti si viene sopraffatti da rabbia e dolore.

    • Diana dice:

      Carissimo Lauro, che bello leggere questo tuo fiume di parole! Mi hai reso davvero felice, non ci eravamo mai confrontati sul tema religione mi sembra! Pure io sono atea ma ciò non toglie che persone tipo Madre Teresa, Ghandi o la stessa Teresa nutrono il mio più grande rispetto…
      Riguardo all’ultima frase… forse hai ragione tu! Anche se pur avendola vissuta da turista (perché in un mese scarso non poteva essere altrimenti)… non sono riuscita a non lasciarmi sopraffare!
      Un abbraccione…

  2. Conny dice:

    Ti ho rievocato dei ricordi ma tu li hai rievocati a me.
    Credo non ci sia nulla che ti possa preparare a Kolkata. Kolkata è la strada, è la vita, si nasce si vive e si muore lì. L’impatto è devastante come lo è fare volontariato all’orfanotrofio dove ci sono bambini con malformazioni fisiche e mentali. Pensavo di non essere in grado perché non avevo una preparazione medica ma quando ho ricevuto i primi sorrisi da parte di alcuni bimbi…gioia pura! Ho capito che hanno bisogno solo di tanto amore.
    Kolkata è anche profumi sapori colori e perché no..casa
    E che dire di Teresa…Grande Donna .. mi nutrivo dei suoi racconti
    Un viaggio da vivere almeno una volta nella vita

    • Tiziana dice:

      Ciao Conny!
      Io mi sto organizzando per andare, a fine anno, a Calcutta come volontaria.
      Qual è, secondo te, la difficoltà più grande di un’esperienza del genere?
      E poi non capisco una cosa: come possono le Missionarie della Carità lasciare un uomo gravemente malato per la strada, aspettando di accoglierlo solo quando non c’è più niente da fare? Perchè?
      Grazie se mi risponderai.

      • Diana dice:

        Ciao Tiziana! Io non sono Cnnny, sono Diana. Conny è l’amica conosciuta qualche mese fa che mi ha rammentato l’incontro con Teresa.
        Per rispondere alla seconda domanda… non lo so! Io ero basita… credo sia perché lo scopo della Casa del Vagabondo è quella di accompagnare il moribondo alla morte ma va beh, è difficile da capire e soprattutto da accettare…
        Le difficoltà secondo me sono emotive, che sia Calcutta, Delhi o Mumbay, l’India non è un paese facile. Almeno per me non lo è stato. Ma se tu sei convinta di partire, non ho dubbi che troverai quel feeling che forse non ho trovato io. Sai già dove andare a fare volontariato?
        Un abbraccio
        Diana

  3. Ricky dice:

    Colpito e ammaliato dalla storia di Teresa. Ed è proprio come dici, ci sono storie/persone/eventi che rimangono latenti dentro di noi. Sembra di non ricordarsene più e poi saltano fuori come bombe!
    Grazie Diana per aver condiviso questo ricordo…

    • Diana dice:

      Grazie a te Ricky per esserti preso il tempo di leggermi… si, restano latenti ma ci sono e tornano a galla al momento opportuno, quando sei pronto per affrontarli nuovamente… credo sia giunto il mio momento!
      Un abbraccio

  4. Lucilla dice:

    Diana, che dire? Ho letto con commozione e mentre lo facevo pensavo due cose: il tuo modo di viaggiare è il più simile al mio, eppure io il coraggio di andare in India ancora non l’ho trovato. Ho ripensato al mio viaggio in SriLanka, una vita fa. In quasi due mesi ho potuto percepire con rabbia lo stesso scarto, la stessa ingiusta umanità delle caste. Ma lì la questione è differente, l’induismo è la fetta minore della popolazione(anche se più osteggiata). Viaggiare in certi luoghi ci fa sentire piccoli, ci fa quasi vergognare dei nostri problemi e dei tanti privilegi. (O forse sono conquiste?) Ogni uomo in ogni società porta avanti le sue lotte, questo credo. Credo che la vita sia una scommessa e anche se c’è chi parte in vantaggio, non bisogna mai smettere di mettersi in gioco, di porsi domande. Come ha fatto Teresa, col suo coraggio e tu, con la tua voglia di metterti in discussione. Un abbraccio

    • Diana dice:

      Cara Lucilla, la mia cicala sull’amaca preferita… ti ho scoperta da relativamente poco ma penso la stessa cosa di te. Sei una delle persone che ha il modo di viaggiare più vicino al mio e questo mi riempie di gioia…
      “Viaggiare in certi luoghi ci fa sentire piccoli, ci fa quasi vergognare dei nostri problemi e dei tanti privilegi”… questo è il punto chiave secondo me. Questo è il modo in cui mi sento ogni volta che mi trovo in certi posti e che vivo certe situazioni però al tempo stesso mi sento grande proprio perché ho il privilegio di viverle…
      L’India è tosta, per me lo è stata, non ho problemi ad ammetterlo. Quando sento la gente partire per un viaggio in India di venti giorni e tornare entusiasta mi chiedo come sia possibile. Ci vuole tempo per metabolizzare quel che vivi e quel che vedi ma forse, e questa è la conclusione a cui sono giunta, il modo migliore per vivere l’India è “ad occhi chiusi”… non so se sono riuscita a spiegarmi!
      Grazie mille… un abbraccione

  5. Michele dice:

    e perché mai hai voluto assopire questi ricordi, tu che hai avuto la fortuna, per non dire il coraggio di questa grande se pur breve esperienza. Eri in India nel 2009 proprio come me io quella volta appena arrivato mi sono diretto invece a visitare i progetti di una fondazione creata da un’altra persona immensa, sconosciuta ai più. Se senti il bisogno di tornarci vai con la certezza che sarà sampre una grande esperienza

    • Diana dice:

      Forse li ho voluti assopire perché è più facile non vedere certe cose e andare avanti con la propria vita. Forse perché non sono ancora abbastanza matura da non lamentarmi per ogni stronzata, anche se dentro di me le cose si muovono, lentamente. Lo so, lo sento. Incontri come quello con Teresa, ma non solo, ti fanno guardare dentro e non sempre quello che vedi è quel che ti aspetti…
      Si, sicuramente ci tornerò! Fino a prima di rievocare questa storia pensavo “forse un giorno”, ora so che quel giorno ci sarà, che sia domani tra un anno o dieci ma ci sarà… grazie!

  6. manuela dice:

    Ciao Diana, storia dura, forte, commovente, leggendo lo stomaco si chiudeva,
    ma questa storie mi fanno riflettere, sempre, e’ sempre di piu’.
    non ho molto da dire, solamente..
    ”NON IMPORTA QUANTO SI DA’..
    ”MA QUANTO AMORE SI METTE NEL DARE..

    • Diana dice:

      Cara Manuela, sono perfettamente d’accordo con te! Sono storie che fanno riflettere, solo che siamo umani e a volte preferiamo dimenticarle che metterci in gioco. Almeno, nel mio caso funziona così. Ma tutto quel che si vive qualcosa lascia e c fa crescere, inevitabilmente… l’amore è il motore della vita, di qualsiasi natura esso sia…
      Un abbraccio

  7. Partyepartenze dice:

    Un racconto toccante. Spesso alla fine trovi un inizio e la strada di ognuno di noi è talmente affollata di gente, cose e distrazioni che ci si perde ad ammirare l’inutile. Non è la gente, ma la è la strada a portarti lontano.

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