Il Solar do Unhão è una favela situata vicino al centro commerciale di Salvador de Bahia. A voler essere precisi, si tratta della comunidade adiacente a una delle favelas più violente della città, Gamboa do Baixo. Nemmeno poi così lontana dal mio ostello.
La differenza tra favela e comunidade, se esiste, non mi è del tutto chiara. Wikipedia definisce la favela come un congiunto di “abitazioni sviluppate in maniera irregolare e con materiali di bassa qualità spesso costruite sui fianchi delle colline di un terreno franabile” che generalmente si caratterizza per “il degrado sociale e la povertà (che) favoriscono il sorgere di attività criminali”, ma non dice nulla in merito alla comunidade che, secondo i suoi abitanti, sarebbe il modo elegante per definire la favela.
Nella sostanza, il concetto non cambia. Non so come la vedi tu, io al termine favela ho sempre associato l’immagine evocata da Wikipedia, con il dito indice puntato sulla violenza che viene perpetrata al suo interno. Per questa ragione mi sono stupita quando Neuza ha proposto a me e agli altri ospiti dell’Hostel Torre di pranzare al ristorante di Dona Suzana, nel bel mezzo della comunidade del Solar do Unhão, che il sabato serve la moqueca, specialità tipica baiana, a soli 15 reales.

Così siamo andati a mangiare la tanto famigerata moqueca, una delle cose più buone che abbia gustato in vita mia, senza ombra di dubbio da collocare al top della cucina baiana. Prima di uscire Neuza si è raccomandata di non dimenticare la macchina fotografica e, sebbene un po’ scettici al riguardo, quasi tutti abbiamo raccolto il suo invito. È pazzesco constatare quanto un preconcetto possa distorcere la realtà. Qualcuno, nel gruppo, si è fatto tutto un film che si apre con lo sguardo di intesa tra Neuza e i vigilanti della favela i quali, avvertiti del nostro arrivo da un ragazzetto sudicio e sudato, ci avrebbero fatto da angeli custodi durante tutto il pomeriggio, dettando i tempi e gli spazi della nostra visita.

Personalmente non ho avvertito nulla e anzi, sono persino arrivata a chiedermi se Neuza non ci stesse tirando un tiro mancino visto l’ordine, la pulizia e l’atmosfera rilassata che regnavano al suo interno, sentendomi molto più a mio agio lì rispetto ad altri angoli di Salvador che non rientrano nelle voci favela o comunidade, ivi inclusa la via dove alloggiavo. Ecco perché ci sono tornata, da sola e in compagnia: per cercare un po’ di quiete nella sua accogliente spiaggetta e chiacchierare con i suoi abitanti che più di una volta mi hanno aperto la porta di casa per farmi assistere al tramonto da una finestra a strapiombo sul mare.
Una delle cose più sorprendenti della comunidade del Solar do Unhão, che ospita circa trecento famiglie, è il fatto di essere la sede del MUSAS (Museu de Street Art de Salvador), un museo a cielo aperto nato con l’intento esplicitamente dichiarato dai suoi curatori – i grafiteiros del coletivo Nova10Ordem – di “smitizzare l’idea che la comunidade è violenta” e “mostrare quanto invece sia bella”.
Il fatto poi che il MUSAS si trovi accanto al M.A.M., il Museo di Arte Moderna, assume una valenza simbolica non indifferente: la comunidade, abbracciando l’arte di strada, rafforza l’idea che alla base dei grandi cambiamenti ci sia sempre un movimento collettivo e che da soli non si arriva da nessuna parte. Questo, in sintesi, il discorso che ci ha fatto Neuza mentre deliziavamo il palato con la meravigliosa moqueca di Dona Suzana.

Ora, sia chiaro, non ti sto dicendo di girare libero e bello per le favelas brasiliane che non ti succederà nulla! Ti sto semplicemente rendendo partecipe della mia ignoranza su un tema che conoscevo solo per sentito dire e di come ancora una volta il contatto con i locali sia risultato fondamentale per conoscere il paese. Se non ci fosse stata Neuza probabilmente avrei continuato ad associare l’idea di favela al degrado e alla violenza. Che potesse trattarsi di un luogo dedito all’arte e alla cultura era escluso dal mio preconcetto ma si viaggia per questo, giusto? Per liberarsi del concetto di frontiera, in primis quella mentale. Tu che ne pensi?
Qualche informazione utile sul Solar do Unhão
Se sei stanco della samba e cerchi un diversivo, il Solar do Unhão propone la JAM NO MAM, una sessione live di jazz che si tiene tutti i sabati pomeriggio, a partire dalle 17.00, presso l’edificio cinquecentesco che ospita il Museo de Arte Moderna.

La Globetrotter
Sei stato a Salvador de Bahia? Hai visitato il Solar do Unhão? Come ti è parso? Ti aspetto nei commenti.
Se cerchi spunti per organizzare un viaggio nel paese della saudade, leggi il mio post ITINERARIO DI VIAGGIO IN BRASILE, DA BAHIA ALLE SPIAGGE DEL NORD-EST, oppure clicca QUI per tutti i racconti on the road. E se non hai tempo per organizzarti in fai da te, io sono qui anche per questo: consulta la sezione del blog DISEGNO IL TUO VIAGGIO e scrivimi!
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Si, il concetto di favelas per me è sempre stato abbinato al degrado in tutti i suoi aspetti esistenziali: tanta povertà, miseria, degrado strutturale, droga e similari. La tua esperienza Diana è stata sicuramente positiva, anche grazie alla presenza di Neuza, che vi ha condotti ad apprezzare anche il lato umano e globale delle favelas. Sono compiaciuta che i tuoi preconcetti siano stati sgretolati dalla tua esperienza in loco. Ho letto volentieri quanto i grafiteiros, con i loro stupendi murales, abbiano il preciso desiderio e compito di sfatare il degrado delle favelas. E, come sempre, mi hai piacevolmente meravigliata per la tua particolare intraprendenza nel voler ritornare sola, e in compagnia, in quei posti notoriamente concepiti dal resto del mondo, luoghi inaccessibili e violenti. Un abbraccio.
Cara Rita, come avrai intuito dal mio post anche io avevo un’idea della favela che, nel caso di specie, non ha trovato riscontro! Certo, è innegabile che molte favelas si caratterizzino per il degrado, la miseria, la violenza, ma è anche vero che c’è in atto un cambiamento, che molta gente è stanca, desidera altro e lotta per questo. Riguardo a me… che dirti? Per me il viaggio è vita e non concepirei me stessa in un modo diverso: ciò che mi interessa non è “vedere 1.000 posti” ma “viverli”. Magari non 1.000! Amo impregnarmi della realtà e la quotidianità del paese che mi ospita per cui mi chiedo: se Neuza ci andava da sola e a me è sembrata tranquilla, perchè non avrei dovuto farlo pure io? Mi sarei persa uno splendido tramonto dalla casa di una vecchietta adorabile… peccato che giusto quel giorno avessi lasciato la macchina fotografica a casa! Grazie mille per il tuo contributo che ho gradito in maniera particolare… Un abbraccio a te
Complimenti, articolo interessantissimo Diana! 🙂
Ti dirò, io al contrario credevo che fosse meno reale oggi la situazione di violenza rispetto a quella dell’arte e della cultura. Speravo che ormai finalmente le cose stessero migliorando, ma mi sembra di capire di no. 🙁
Grazie di questo post, baci!
Grazie Futura… indubbiamente stanno migliorando, non so in che termini e in che misura ma c’è più attenzione a molti aspetti della vita umana. Tuttavia credo che liberarsi della violenza, per il Brasile, sia come togliersi un arto! Detto in altre parole, non diventerà mai tranquillo come il sudest asiatico, di questo sono certa! Troppa gente e soprattutto… troppa gente che non ha nulla! ma gente splendida comunque. Quando sono stata rapinata a Ilha Itaparica, tornata alla festa e guardandomi attorno mi sono detta “todo iso gana”, tutto questo non ha uguali! grazie per le tue considerazioni! Un abbraccio
sono quelle esperienze che ti riempiono il cuore, quelle che ti fanno sentire soddisfatta di quello che stai facendo. Complimenti señorita come sempre sai trasmettere le tue emozioni in modo piacevole
Muito obrigada mi querido… e concordo con te, sono quelle piccole cose che danno un senso a tutto e ti fanno stare bene! Un abbraccio