Sono un po’ provata quando arrivo a Mandalay. È stato un viaggio destabilizzante ma non ho ancora perso l’ottimismo! Restano pochi giorni e qualcosa mi dice che non lascerò la Birmania con un cattivo ricordo.
Tanto per cominciare cambio tattica. Scendo dall’autobus e anziché lasciarmi attaccare… attacco. Un po’ in disparte rispetto al gruppo di procacciatori di clienti c’è un moto-taxi che si sta facendo gli affari suoi. Considerato che mi interessano i dintorni di Mandalay più che la città in sé, gli chiedo un prezzo forfait per scarrozzarmi in giro stasera e domani. Mi assicuro di aver capito bene il prezzo e con una stretta di mano concludiamo il contratto. Mi faccio accompagnare alla guesthouse e restiamo d’accordo di vederci nel pomeriggio, dopo una buona doccia e un po’ di riposo. Questa sera a Taungbyone, a una ventina di chilometri da Mandalay, c’è il Nat Pwe Festival, una festa in omaggio di due dei più famosi Nat del periodo di Bagan, e non intendo perderla.
Aung arriva puntuale come un orologio svizzero. Io sono bella arzilla, il Nat Pwe Festival è una manifestazione molto importante e sono felice di essere qui. Inutile dire che il temporale ci coglie lungo la strada, proprio quando siamo in mezzo al nulla. Quando troviamo riparo siamo ormai bagnati fradici. Tuttavia fermarsi è d’obbligo, lo stato delle strade in Birmania è terrificante, soprattutto quelle fuori dai centri abitati che si trasformano in veri e propri pantani… ed è esattamente questo che mi ritrovo davanti quando arriviamo a Taungbyne. Il diluvio non ha risparmiato nemmeno i Nat e la festa si è trasformata in un delirio di fango.
Al Nat Pwe – mi racconta Aung – partecipano migliaia di persone provenienti da tutta la Birmania che vengono a rendere omaggio a due dei Nat più importanti del paese, i fratelli Shwe Pyin Syi e Shwe Pyin Nge. È il festival più famoso di tutto la Birmania e per cinque giorni si alternano le più svariate cerimonie: dall’invocazione dei Nat del primo giorno, al bagno reale del secondo, all’ascensione al trono del terzo, e via dicendo.
Questa è l’ultima sera e la folla di gente è davvero impressionante. L’ambiente è gioviale, i birmani ballano e si dimenano al suono amplificato di strumenti tradizionali a me ignoti, scorrono fiumi di alcool e degli strani personaggi travestiti sembra si siano sparati una dose di eroina. D’altronde la Birmania non è mica una delle maggiori produttrici mondiali di oppio? Aung mi spiega che sono dei medium che entrano in trance e mi rivela, sogghignando, che il Nat Pwe è ritenuto dagli abitanti di Yangon un festival gay. Il suo sogghigno, in merito, la dice lunga…
Ci dirigiamo verso la moto, è tardi e io sono abbastanza stanca. Aung, che sembra davvero un ragazzo a modo, mi sorprende regalandomi un sacchetto colmo di dolci tipici birmani comprati a una bancarella lungo il cammino. Direi che ho fatto gol. Il primo giorno a Mandalay mi ha già conquistata!
Il secondo giorno scorre via ancora più piacevole. Quando scendo per fare colazione, trovo già Aung che mi attende davanti alla porta della guesthouse, seduto sulla sua moto. Oggi esploriamo i dintorni di Mandalay. È molto loquace questa mattina e lungo il cammino mi parla un po’ della doppia anima della città – quella polverosa, calma, tradizionale e quella agitata, dinamica e moderna – che affonda le radici della sua sorprendente identità in una storia rocambolesca.
Dopo la caduta dell’impero di Bagan, nel XIV secolo, tutti i re Bamar che si sono succeduti alla testa del reame hanno edificato una nuova capitale – mi racconta. – Mandalay è stata l’ultima capitale imperiale della Birmania, dal 1860 al 1885. In seguito alla conquista del paese da parte dell’impero britannico, la sede del governo è stata spostata a Rangoon.
Mi rivela orgoglioso che Mandalay è il centro culturale del paese e che musicisti del calibro di U Shwe Nan Tin e Dwe Mu Mu Thein, nonché i famigerati The Moustache Brothers, sono nati qui.
Purtroppo – conclude amareggiato – non resta granché dell’antico splendore di questa città. Dall’apertura della Birmania al mondo esterno assomiglia sempre più a una metropoli economica. Ma io ti mostrerò il meglio e non tornerai a casa delusa!”
Dalla distribuzione del pasto ai monaci – una scena davvero toccante, migliaia di monaci ordinatamente disposti su due file, avvolti nell’abito amaranto, con la ciotola in mano che si preparano a ricevere il pasto, l’ultimo della giornata, quello delle 11 – alla visita di Sagaing Hill, Mingun e quella che lui definisce la “Angkor Wat” birmana, un sito bucolico e remoto il cui nome non mi dice granché.
Questo il compromesso che raggiungiamo dopo una lunga discussione in cui cerco di far capire a Aung il mio punto di vista di viaggiatrice rilassata: lui mi rimprovera di aver perso troppo tempo al monastero con tutte le cose che ci sono da vedere mentre io ribatto che non sono interessata alla quantità ma alla qualità e che il tempo, quanto meno quando sono in viaggio, non mi sta con il fiato sul collo.
La scena del monastero mi ha scaldato il cuore e se anche non fossi più riuscita a vedere nemmeno una pagoda, che peraltro mi sembrano tutte uguali ormai, partirei soddisfatta. Resta stupito quando gli rivelo di essere molto più interessata ai suoi racconti che infondono vita a quel che ho visto finora. Sono una viaggiatrice anomala, lo so bene, ma una volta a casa sono sicura che non saprò più collegare un nome a una pagoda ma il suo nome, e il suo volto, difficilmente li scorderò. Finalmente riesco a intravedere l’anima di questo paese e ne sono felice.
La bella sinfonia vissuta finora singhiozza all’ora del pranzo. Ci fermiamo in un ristorantino lungo la strada frequentato esclusivamente da birmani. Aung mi lascia pranzare da sola e va a schiacciare un pisolino. Sto gongolando davanti a un birra ghiacciata quando vedo tre bimbe avvicinarsi, ognuna con una cesta in mano. La più grande, otto anni a dir tanto, mi chiede in inglese di dove sono. “Italiana”, rispondo con un sorriso. Ed ecco che parte il coro. “Ciaooooo… come ti chiamiiiii? Io sonooooo… Sei bellissima saiiiii? Lo dicono in italiano, un italiano rudimentale ma comprensibile, esattamente come sarà il loro inglese, francese, tedesco o esperanto che sia!
Ho il cuore in una morsa, dovrebbero essere a scuola e sono già sulla strada. Una delle vittorie conseguite dall’eroina nazionale Aung San Suu Kyi è stata l’istruzione gratuita per tutti. Gli chiedo cosa ci fanno lì e dove sono i loro genitori e per tutta risposta poggiano sul tavolo le ceste piene di bracciali di bambù, prodotto tipico dell’artigianato locale. So bene che non devo farlo. So bene che comprare bracciali da queste bambine che vengono tolte alla scuola per imparare a pappagallo quattro stupide frasi in tutte le lingue del mondo non le aiuterà. Lo so ma non riesco a rimanere impassibile a sei occhi dolci e affamati. Così mi svuoto le tasche con lo sguardo basso. Non sto aiutando loro ma me stessa mettendo a tacere la mia coscienza.
Le due ore seguenti le trascorro a terra con le gambe incrociate e lo sguardo perso nel vuoto, fumando una sigaretta dietro l’altra. “È ora di andare”. La voce di Aung che mi esorta ad alzarmi suona lontana. O forse, più semplicemente, sono io quella lontana. Mi alzo meccanicamente, come un automa. Amarapura mi aspetta, anche se in questo momento non ricordo nemmeno più cosa ci sia ad Amarapura…
La Globetrotter
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Adoro i tuoi racconti di viaggio Diana, e dentro di me ho il grande desiderio di poter viaggiare allo stesso modo. Sei un grande esempio per me, di coraggio. Come se tutto fosse in realtà così semplice e fattibile, come se fosse possibile non avere paura di nessuno.
Grazie :*
Carissima Futura, intanto grazie mille! Ci sono momenti in cui mi chiedo se interessa a qualcuno quello che scrivo e ogni volta che succede… ricevo un commento che mi rincuora!
Ti dirò… è tutto semplice e fattibile, basta desiderarlo ardentemente! E non bisogna avere paura ma imparare a conoscere se stessi perché conoscere se stessi è il punto di partenza per conoscere gli altri e capire di chi aver paura e di chi non averne… non so, forse sembra paradossale, ma io la vedo così, e questo vale sia nei viaggi che nella vita! Grazie mille… davvero! Un abbraccione
Ti seguo da tempo, ma è la prima volta che sento l’urgenza di lasciarti un commento. I tuoi racconti mi riempiono il cuore di sentimenti puliti, mi ricordano qual è la parte migliore di un viaggio, e mi commuovono tantissimo.
GRAZIE.
Simona! Ma grazie a te! Non sai quanto il tuo commento ha riempito il mio cuore di gioia questa mattina!
Riuscire a condividere le proprie passioni e riuscire a scambiarsi emozioni è il motore che muove le nostre vite, almeno io la vedo così! E se io riesco a riempire il tuo cuore di sentimenti puliti, sappi che pure tu sei riuscita a riempire il mio e a regalarmi un sorriso che abbraccia il mondo intero!
Ciao Diana,
come sempre è bello leggere I tuoi racconti di viaggio, non deludono mai.
Anche stavolta ti ho visualizzato a cavallo della moto con Aung che chiacchiera e racconta splendide storie del suo paese e tu che ascolti tra una pozzanghera e l’altra. Fantastico anche il fatto che cerchi di spiegargli che non è la quantità delle cose visitate a fare la differenza per te…
Mi sento poi molto vicina a te quando ti lasci convincere dai 6 occhioni e contro tutte le regole del viaggiatore compri braccialetti in bamboo a tutto spiano. Ma come si fa a dire di no?
Carissima Antonella, innanzitutto grazie! I miei racconti non deludono chi ha occhi per visualizzare attraverso le mie parole… e i tu li hai sicuramente! E credo che 6 occhioni così avrebbero fatto capitolare qualsiasi viaggiatore! Un grande abbraccio
La prossima volta ti faccio da guida in Birmania!
Organizziamo! Sto valutando la possibilità di tornare in Asia a gennaio, vediamo, nel caso ti spremerò come un’arancia per carpire tutti i tuoi segreti! A presto
Grazie mille per i tuoi racconti, le emozioni e impressioni che hai condiviso… Mi sono appena riletto per la seconda volta i tuoi articoli sulla Birmania, adesso che mancano 2 giorni alla mia partenza!!! 🙂 Grazie ancora, a presto
Grazie a te Nicky! Fai buon viaggio e spero assolutamente di non averti condizionato! ogni viaggio è molto soggettivo e magari troverai quel che non ho trovato io… e mi illuminerai! Fatti vivo al ritorno che voglio sapere tutto!