Calle Caracoles è l’arteria che anima San Pedro de Atacama, un villaggio situato a 2.438 metri di altezza e cuore pulsante di uno degli scenari più spettacolari del Cile settentrionale.
È lunga Calle Caracoles. Attraversa San Pedro da nord a sud e vibra a qualsiasi ora del giorno e della notte, anche durante il solleone quando le temperature raggiungono i 40° C e meriterebbe una siesta.
È giovane Calle Caracoles. Talmente giovane e ambiziosa da non sentire il bisogno di una siesta quando è il momento di mettersi al lavoro. Perché San Pedro de Atacama è un villaggio che si è aperto al turismo intorno alla metà degli anni Novanta e che in un solo ventennio ha moltiplicato il numero di strutture ricettive e agenzie turistiche, tutte concentrate in Calle Caracoles e nelle due o tre vene finali che conducono alla Plaza de Armas, il polmone verde del paese.
La vita inizia presto e finisce tardi in calle Caracoles. A volte inizia senza mai essere realmente terminata. Architettura in adobe sullo sfondo di un paesaggio desertico che la rende unica nel suo genere, calle Caracoles ospita pochissime case, e quelle poche sono ben nascoste dal susseguirsi di agenzie turistiche che offrono una gran varietà di escursioni nella zona: le lagune del Salar de Atacama per avvistare i fenicotteri, i Geiser del Tatio all’alba, la Valle de la Luna al tramonto, la Valle de la Muerte a bordo di una tavola da surf, per citarne qualcuna. Tutte le agenzie propongono gli stessi pacchetti a prezzi pressoché invariati.
A spezzare la monotonia tra una Cordillera Travel e una Desert Adventure interviene il baretto in cui fare colazione, il ristorantino invitante in cui fermarsi a mangiare, il negozietto dai colori vivaci che espone un grazioso artigianato andino (attenzione però, i prezzi sono cileni! Non propriamente andini!), l’ostellino vivace o l’alberghetto accogliente dal patio curato ed elegante… e poi gelaterie, pub, centri yoga, osservatori astronomici, e chi più ne ha più ne metta.
Turisti e viaggiatori si affannano in calle Caracoles alla ricerca di escursioni per riempire il soggiorno a San Pedro de Atacama e dopo un paio di giorni fuggono verso altre mete. Io per prima ho commesso lo stesso errore, pronta a darmela a gambe levate due ore dopo il mio arrivo. Mi sentivo caduta nella classica trappola per turisti da cui non avrei cavato un ragno dal buco. Non avrei mai conosciuto un sanpedrino doc che mi offrisse le chiavi di accesso alla città (la maggior parte della gente che lavora nel turismo è in fuga da Santiago) e non avrei portato a casa niente dei giorni trascorsi laggiù, a parte il Pisco Sour sorseggiato dinanzi al sol calante nella Valle de la Luna in compagnia di altre centinaia di persone.
Ma poi un giorno, l’ultimo per la precisione, allontanandomi da Calle Caracoles e spingendomi semplicemente nella parallela, la Gustavo Le Page, intravedo una serranda aperta con accanto una lavagna nera su cui spicca in bianco la scritta MENÚ DEL DÍA. Alzo lo sguardo sull’insegna e leggo EL HUERTO. Dall’esterno sembra il classico comedor sudamericano, quello che il turista guarda schifato dall’esterno e in cui entra il viaggiatore alla canna del gas. Visto che ci sono vicino, decido di entrare anche perché l’alternativa è proprio la canna del gas! Un giovane addenta una coscia di pollo e con la mano mi invita a proseguire nell’altra stanza.
Magicamente, la stanza si apre su uno splendido giardino, silenzioso, tranquillo ed estremamente accogliente. Pochissimi tavoli, molto rustici; sul fondo quattro sdraio e quattro amache per schiacciare la siesta dopo pranzo.
Mi siedo a un tavolo e ordino il piatto del giorno: pollo alla piastra con riso e insalata. Nell’attesa osservo l’habitat del ristorante. C’è di tutto: una famiglia, un paio di coppiette, una tavolata di amici che si sta dirigendo nell’area relax. Sembrano tutti cileni, per lo meno dall’accento e dai tratti somatici. Ho trovato il mio piccolo Eden a San Pedro de Atacama. Poche ore, le ultime, le trascorrerò qua dentro alla ricerca di un’anima, quella di un pueblo che trent’anni fa quasi non esisteva se non come un puntino su una mappa e che oggi quell’anima sembra averla venduta in cambio di gloria e successo.
“Aqui ahora todo se ha vuelto dificil para nosotros, hay que cambiar de aire” mi confida il proprietario del ristorante al mio rientro dalla siesta. “Non c’è più libertà, non c’è più spazio per nessuno! Tutto è proiettato al turismo, il turismo di massa, e le piccole realtà locali come le nostre sono letteralmente tagliate fuori!” Non colgo bene il senso del suo discorso e chiedo delucidazioni al suo sfogo.
Mi spiega che loro non hanno mai lavorato con i turisti, privilegiando la clientela locale a cui offrivano prodotti di qualità a prezzi leggermente più elevati di un comedor. Garantivano la freschezza e la genuinità degli ingredienti che coltivavano e che allevavano personalmente. Ora però a San Pedro de Atacama non è più consentito curare un orticello o allevare dietro casa un pollaio o un maiale. La ragione, quella vera, non l’hanno capita nemmeno loro, ma il disappunto e la rassegnazione sui loro volti segnati dal tempo è palpabile. Senza ombra di dubbio è legata al boom turistico del pueblo che non ha esitato a snaturarsi in cambio di un po’ di notorietà.
“Ci propongono continuamente di vendere EL HUERTO continua la moglie, una donna sulla cinquantina, “e sarebbe la cosa più intelligente da fare, ma noi siamo tra i pochi sanpedrinos rimasti in città, dei cinquemila abitanti di San Pedro più della metà viene da Santiago. E questa è l’hacienda familiare, tramandata da mio nonno a mio padre e da mio padre a noi figli. Sono rimasta solo io e con l’aiuto di Dio morirò qui, nella mia terra e nella mia casa!” conclude amareggiata.
“Mi vida, bisogna solo avere un po’ di pazienza e aspettare che finisca l’agonia di questo governo che ci sta mettendo in ginocchio sperando che il prossimo…” attacca il marito. Non ho nessuna voglia di imbarcarmi in discussioni politiche quando il pasto è ancora lì, in fase digestiva, e non sono sufficientemente informata per poter capire realmente la situazione. Riporto quindi l’attenzione su di loro chiedendogli com’era San Pedro trent’anni fa. “Un posto piacevole in cui vivere”, mi rispondono all’unisono scambiandosi un sorriso nostalgico. Non avevo dubbi in merito.
Vorrei fermarmi ancora un po’ ma è ora di andare, voglio godermi l’ultimo tramonto prima di salire sull’autobus.
“Perché i colori dei tramonti di San Pedro sono l’unica cosa che il turismo ha lasciato inalterati nel tempo e sono l’anima del pueblo per noi sanpedrinos” mi confida la signora Rosa accompagnandomi all’uscita e congedandomi con un bacio.
Sono le cinque passate e qui, in calle Gustavo Le Page, la vita si ritira tra le mura domestiche.
La Globetrotter
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…..è come se viaggiassi con te quando ti leggo.
Mi piacerebbe lasciare un commento per ogni luogo e complimentarmi per come ne descrivi la vera essenza! Ma io non son capace di scrivere tanto….
Facci sempre sognare coi tuoi bei racconti Diana!
Grazie Anna, ci provo…
…..ok , ti seguo…… sempre più spesso, quando capita di aver voglia di andare, penso che sei lì, in giro per il mondo!
e vi porto tutti con me, almeno con il pensiero… qdo m capita d sentirmi sola so che c siete, anche se lontani!
Sai cogliere l’Anima….viaggiando e scrivendo.grazie
Grazie a te Giusy che riesci sempre a illuminare le mie giornate con i tuoi messaggi carini…
A me San Pedro è piaciuta tantissimo. Trappola per turisti o meno, io ci sono stata benissimo. La Calle Caracoles, le parallele e le perpendicolari… ci tornerei. Magari a cercare la sua anima
Io direi che ci potremmo anche tornare insieme…