Eccomi di nuovo qui a raccontarvi un po’ di questa Cambogia che ha sugellato il mio legame con il Sud Est asiatico. Premetto, per chi mi legge la prima volta, che mi ritengo una figlia della natura e in viaggio cerco sempre di ridurre la mia permanenza nelle città ai minimi termini. Tuttavia, visto che oltre a essere una figlia della natura sono anche una viaggiatrice e quindi una open mind per antonomasia, riconosco che le città offrono un concentrato di storie unico nel suo genere e per me, che ho velleità da scrittrice di cui non ho mai fatto mistero, queste storie sono linfa vitale. Ora, sulla storia di Phnom Penh e del perché non si può prescindere dal visitarla nel corso di un viaggio in Cambogia mi sono già spesa qualche settimana fa consigliandovi la lettura, e la visione, di Per primo hanno ucciso mio padre. Nel caso in cui il post vi fosse sfuggito vi consiglio vivamente di fare un salto indietro. A ‘sto giro sarò un po’ più pragmatica e vi offrirò uno scorcio di cosa fare e cosa vedere a Phnom Penh in un paio di giorni per apprezzarla al meglio e rendere la sua visita memorabile.
Cosa fare e cosa vedere a Phnom Penh, l’elegante capitale cambogiana
- Tra orrore e dolore: il Museo del Genocidio Tuol Sieng e i Campi di sterminio di Choeung Ek
- Tra le bancarelle di Phnom Penh: il Mercato Russo e il Mercato Notturno
- Dall’eleganza del Royal Palace alla spiritualità dei templi buddhisti
- Dal lungofiume allo Stadio Olimpico, a contatto con la popolazione locale
- Ulteriori chicche su Phnom Penh
Tra orrore e dolore: il Museo del Genocidio Tuol Sieng e i Campi di sterminio di Choeung Ek
A mio modesto parere conviene iniziare la visita di Phnom Penh dai suoi punti dolenti e concentrarli entrambi nella stessa giornata. Non mi dilungherò sul perché è importante recarsi in questi luoghi così dolorosi e macabri perché finirei con il replicare quanto già scritto nel post precedente per cui mi limiterò a fornirvi qualche informazione pratica.
Il Museo del Genocidio Tuol Sieng era un liceo che venne occupato dai khmer rossi e adibito a carcere di massima sicurezza con il nome di S-21. Tra il 1975 e il 1979, gli anni in cui si consumò l’orrore, l’S-21 era il principale centro di detenzione e di tortura del paese.
Il Museo del Genocidio Tuol Sieng si trova in città (St.113, Boeung Keng Kang III, Chamkarmorn) ed è aperto tutti i giorni dalle 08.00 alle 17.00. L’ingresso, comprensivo di audioguida che vi aiuterà a vivere questa drammatica esperienza in maniera più consapevole, costa 8 dollari.
Cosa vi aspetta all’interno?
Un po’ come avevano fatto i nazisti trent’anni prima, anche i capi dei khmer rossi registrarono meticolosamente le loro atrocità – la banalità del male procede di pari passo con il livello di follia! – e ogni prigioniero che entrava nella S-21 veniva fotografato e schedato. Le sale del Museo ospitano le fotografie in bianco e nero di chi ebbe la sfortuna di transitare da lì. Uomini e donne, vecchi e bambini, con un numero identificativo sul petto, torturati e uccisi senza nessuna pietà. Giusto per darvi un’idea, all’inizio del 1977 nell’S-21 si registrava una media di cento vittime al giorno. Cambogiani, stranieri e gli stessi carnefici divennero vittime del sistema che li aveva generati.
Quando i vietnamiti liberarono Phnom Penh, nei primi mesi del 1979, trovarono in vita solo sette prigionieri sopravvissuti grazie al loro talento di pittori (all’interno delle sale si trovano alcune delle loro opere) e fotografi. E qui mi fermo perché ho già detto troppo.
I Campi di sterminio di Choeung Ek si trovano a una quindicina di chilometri da Phnom Penh e per arrivarci è necessario contrattare un remork (tra i 15 e i 20 dollari la corsa di andata e ritorno).
Visitare i Killing Fields subito dopo il Museo del Genocidio può apparire masochista ma credo sia l’unico modo per avere una visione il più completa possibile della situazione. Personalmente, se avessi atteso il giorno dopo, o anche solo qualche ora, non credo ci sarei più andata.
A livello emotivo è un impatto molto forte, è inutile dirlo ed è inutile nasconderlo, e a distanza di mesi ripensare a quel giorno di gennaio in cui mi sono impregnata di tanto dolore mi causa ancora parecchio scompenso ma come ho già detto e ripetuto più volte, è un qualcosa da cui non ci si può esimere se si decide di visitare la Cambogia.
I Campi di sterminio di Choeung Ek sono aperti tutti i giorni dalle 07.30 alle 17.30 e il biglietto d’ingresso con audioguida costa 6 dollari.
Qui, tra il 1975 e il 1978, oltre 17.000 persone incarcerate nell’S-21 trovarono la morte a bastonate. Dalle fosse comuni di quello che in tempi felici era stato un frutteto di longan, nel 1980 vennero esumati i resti di quasi 9.000 persone, molte delle quali legate e con gli occhi bendati. Non aggiungo altro sui Killing Fields perché oltre a farmi male, è qualcosa che bisogna vedere con i propri occhi perché un semplice racconto non renderebbe giustizia a tanto orrore.
Ovviamente non vi sto dicendo di partire per Phnom Penh per visitare questi luoghi macabri ma se siete interessati a conoscere la Cambogia, il Museo del Genocidio e i Campi di Sterminio sono un MUST alla stregua dei templi di Angkor, né più né meno!
Tra le bancarelle di Phnom Penh: il Mercato Russo e il Mercato Notturno
Passiamo ora a qualcosa di più leggero e piacevole per tutti, la visita dei mercati di Phnom Penh.
Li metto al secondo posto perché per me i mercati sono emblematici di un luogo e raccontano tante cose di un popolo senza bisogno di parole. Tra colori e odori, che spesso nei paesi del terzo mondo sono così forti da diventare nauseanti, i mercati sono lo specchio della società e spesso riservano piacevoli sorprese.
A Phnom Penh i mercati principali da vedere sono tre.
Il Psar Thmei – noto come Mercato Centrale per via delle dimensioni e della posizione – si trova all’interno di un edificio in stile art déco e a detta della Lonely Planet è il più divertente da visitare. I locali però non la vedono così e io preferisco seguire il consiglio dei locali che della Lonely Planet per cui ho bypassato.
Il secondo mercato di Phnom Penh – e qui un giro vi consiglio di farlo – è il Mercato Russo che dopo la visita del Museo del Genocidio e dei Killing Fields è una boccata d’ossigeno.
La parte più interessante è senza ombra di dubbio quella del cibo anche se con il tempo sono diventata un po’ intollerante all’odore penetrante della carne appesa e del pesce esposto sui banconi attorno a cui ronzano sciami di mosche per cui un occhio ce lo butto sempre ma giusto en passant.
Più interessante, dal mio punto di vista, la zona in cui si concentrano frutta, verdura e spezie. Difficilmente ne esco a mani vuote anche perché adoro sperimentare in cucina e l’80% dei miei souvenir di viaggio sono ormai di natura commestibile.
C’è poi il settore in cui si concentrano gli stand che vendono street food e succhi di frutta tropicale a prezzi stracciati e infine, per i consumisti – di cui faccio parte anche io, seppure sempre meno! – c’è la zona dei souvenir che è un piacere per gli occhi e per il portafogli. La manifattura è un po’ scarsa ma fa la sua sporca figura!
L’ultimo mercato, e questo non perdetevelo per nulla al mondo, sempre che siate a Phnom Penh nel fine settimana, è il Mercato Notturno.
Il fatto che si chiami Mercato Notturno non deve trarre in inganno perché in realtà è operativo a partire dalle cinque del pomeriggio, dimostrazione tangibile della diversa concezione del tempo tra Oriente e Occidente. Avevo letto della sua esistenza ma pensavo fosse un mercatino di souvenir per turisti e non l’avevo nemmeno considerato perché essendo all’inizio del viaggio non volevo caricare lo zaino più di quanto già non fosse.
Poi, casualmente, ci sono passata davanti e cosa fai, non entri a dare un’occhiata?
Ebbene, una volta dentro ho capito che tutto era fuorché ciò che immaginavo visto che la maggior parte delle persone concentrate lì erano locali. Vi si trovano bancarelle di scarpe e abbigliamento – quest’anno in Cambogia va per la maggiore il pigiama di seta a mo’ di vestito – e stand di street food che servono ottimi piatti in un’atmosfera conviviale e rilassata.
E così, sedute per terra, io e Conny abbiamo consumato la nostra cena sotto gli occhi divertiti dei locali… ma, cosa ben più importante, sotto i nostri occhi giulivi!

Dall’eleganza del Royal Palace alla spiritualità dei templi buddhisti
Probabilmente il Royal Palace è una delle cose da vedere a Phnom Penh anche se io, lo confesso, non ci sono entrata. Un paio di giorni prima avevo visitato quello di Bangkok (stupefacente) e non ero particolarmente motivata. Così, quando mi sono vista negare l’accesso perché al posto della T-Shirt coprivo le spalle con una sciarpa ho preferito lasciar perdere. Se non siete stati a Bangkok forse vale la pena farci un giro anche se è giusto dire che si tratta di un giro nei giardini e poco più. Trattandosi della residenza ufficiale del re, la maggior parte degli edifici sono chiusi al pubblico.
All’interno del complesso si trova la Silver Pagoda che deve il suo nome al pavimento ricoperto da oltre 5.000 piastrelle d’argento del peso di 1 kg l’una. La Silver Pagoda testimonia la ricchezza e lo splendore dell’antica civiltà Khmer e ospita un Buddha di Smeraldo – ricoperto di 2.086 diamanti – e un Buddha d’Oro ma mettetevi l’anima in pace perché non è possibile scattare foto!
Non essendoci stata non posso dire se i 10 dollari d’ingresso sono ben spesi o no. Un paio d’amici che girano parecchio hanno definito la visita del Royal Palace una “piacevole passeggiata” ma non imprescindibile. La scelta, ovviamente, è sempre soggettiva.
Come un po’ tutto il Sud Est asiatico, Phnom Penh pullula di templi e volenti o nolenti in qualcuno vi troverete a entrare. A me i templi buddhisti piacciono molto, mi infondono un’invidiabile sensazione di pace interiore per cui quando ne vedo uno, noto o meno che sia, mi ci ficco dentro.
Il tempio più importante di Phon Penh è il Wat Phnom che si trova in cima a una collina alta 27 metri, l’unica della città. L’ingresso costa 1 dollaro che è un prezzo irrisorio anche se il dover pagare per entrare in un luogo di culto, tempio o chiesa che sia, è per me inconcepibile. Tuttavia riconosco che il Wat Phnom è un gioiellino per cui direi di soprassedere su considerazioni di ordine etico e morale. Il tempio, a cui si accede tramite una scalinata ricca di decorazioni, risale al XIV secolo ed è molto frequentato dai locali che si recano a chiedere fortuna e portare fiori e frutta in omaggio al Buddha per veder esauditi i loro desideri.
Un altro tempio che vale la pena visitare è il Wat Ounalom, sede del patriarcato buddhista cambogiano fondato nel 1443 e composto da 44 edifici. Il complesso, come molti altri, fu pesantemente danneggiato durante il regime dei khmer rossi ma è stato recentemente restaurato ed è assolutamente piacevole da visitare.
A parte ciò, il mio consiglio spassionato è quello di entrare anche nei templi “senza nome” che troverete lungo il cammino, così, giusto per buttare un occhio e farvi un’idea di come vivono i monaci buddhisti. Per me sono sempre una bella sorpresa…
Dal lungofiume allo Stadio Olimpico, a contatto con la popolazione locale
Eccoci giunti a un’altra delle cose che secondo me rendono Phnom Penh una città da non perdere, la sua vivacità. Tutto mi aspettavo dalla Cambogia fuorché un popolo così vitale e gioviale e vi basterà una breve passeggiata sul lungofiume per rendervene conto.

Oltre allo street food – che in luoghi come questo non manca mai, insetti di ogni forma e dimensione inclusi – potrete assistere e partecipare alle lezioni di aerobica che hanno luogo sia al mattino che al pomeriggio, nei giorni festivi come in quelli feriali. Agli asiatici piace tenersi in forma e alla cucina salubre abbinano l’attività fisica che per lo più si svolge in spazi aperti.
Per questa ragione vi consiglio di fare un salto anche allo Stadio Olimpico, esempio notevole di architettura khmer degli anni Novanta dove, a partire dal tardo pomeriggio, ci si ritrova per allenarsi e cimentarsi in vari tipi di attività sportiva. Personalmente l’unico sport che amo è quello delle mandibole quando affondo i denti in qualche pietanza deliziosa ma Conny, che ha un po’ più di buon senso, si è buttata in pista e si è pure divertita!
Infine, ma è superfluo anche a dirsi, perdetevi per le zone un po’ meno battute dagli stranieri, quelle appartate rispetto alle attrattive principali. Le scene che mi sono trovata davanti passeggiando senza una meta e senza cercare nulla di che sono quelle che mi hanno fatto cogliere l’anima della città e della sua gente e me l’hanno fatta apprezzare maggiormente.
I cambogiani, è risaputo, e dopo esserci stata non posso far altro che confermare, sono un popolo mite, pacifico e assolutamente piacevole da conoscere. Probabilmente se avessi vissuto quel che hanno vissuto loro nutrirei un odio e un rancore sviscerati verso tutto e verso tutti ma loro no, sorridono sempre e hanno la serenità dipinta sul volto. Non so voi ma io la trovo una cosa meravigliosa…
Se al posto di girare in autonomia preferisci visitare Phnom Penh con una guida, Civitatis propone un tour privato, in italiano, che tocca e approfondisce tutti i punti d’interesse della città.
Ulteriori chicche su Phnom Penh
Queste a mio avviso le cose principali da fare e da vedere a Phnom Penh. Sono consapevole del fatto che se si dispone di poco tempo l’ultima cosa che si desidera, in un paese bello come la Cambogia, è sprecarlo nella capitale. Io di tempo ne avevo in abbondanza e comunque non mi sono fermata più di tre notti limitandomi a ciò che ritenevo interessante per me, questo non significa che non ci sia altro da fare.
Agli appassionati di musei (io generalmente li boicotto, specialmente se non mi fermo a lungo in un luogo) segnalo il Museo Nazionale che si trova nei pressi del Royal Palace. Dall’esterno è molto bello. Un elegante edificio in terracotta del primo Novecento con un piacevole giardino interno – sono riuscita giusto a buttare un occhio – che ospita la più importante collezione di sculture khmer esistente al mondo. L’ingresso costa 5 dollari ed è aperto al pubblico dalle 08.00 alle 17.00.
Gli amanti dei massaggi a Phnom Penh (come in tutta la Cambogia del resto) troveranno il paradiso. Passeggiando per la città, e non solo per i quartieri più turistici, troverete vari centri dove delle graziose signorine vi allieteranno per pochi dollari. Io, stupidamente, non ne ho provato nemmeno uno. Con la scusa che avevo tempo continuavo a procrastinare ma è anche vero che non sono mai stata una patita di massaggi. Questo, quantomeno, fino a quando non mi sono lasciata tentare da una massaggiatrice thailandese che mi ha fatto cambiare idea. D’altronde solo gli stolti restano immobili sulle loro posizioni e se dovessi tornare in Cambogia, il che non è escluso, non ci penserei due volte.
Per i romantici c’è anche la possibilità di partecipare a una minicrociera sul Mekong che ha sicuramente un certo fascino. Civitatis propone un giro in barca sul fiume al tramonto, con buffet e open bar.
Infine, Phnom Penh vanta anche una vita notturna di tutto rispetto. Io non uscivo la sera a fare baldoria perché ero ospite tramite il couchsurfing e il mio anfitrione viveva in uno dei palazzi top di Phnom Penh con ristorante e piscina sulla terrazza e relativa panoramica sulla città ma ho visto un sacco di locali carini nelle zone frequentate dai turisti. (Se non sapete cos’è il couchsurfing potete leggere il mio articolo in cui spiego per filo e per segno come funziona e perché vale la pena provarlo almeno una volta nella vita).

Insomma, forse definire Phnom Penh la “Parigi d’Asia”, come ho letto su qualche blog, mi sembra un po’ eccessivo, ma di cose da fare e da vedere ce ne sono e ha anche un certo incanto. Sarà che trovo particolarmente affascinanti le città bagnate dall’acqua – fiume, lago o mare che sia – ma a me Phnom Penh ha regalato molte emozioni, probabilmente più di quante me ne abbia regalate Bangkok…
La Globetrotter
E tu, che rapporto hai con le città? Le ami o le odi? E quando le visiti, ti piace sviscerarle a fondo o cerchi semplicemente di coglierle nella loro essenza? Ti aspetto nei commenti
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Mancavo da un po’ un mio commento sul blog. Può passare il tempo ma leggerti, è sempre una delizia, insomma per palati sopraffini(io non lo sono). Riesci sempre a emozionarmi, e catapultarmi in luoghi che non visitero credo mai. Un grosso abbraccio, a presto
Mi chiedevo infatti che fine avessi fatto, pensavo mi avessi abbandonata…
Scherzi a parte, perché non dovresti visitarli mai? Non mettere limiti alla provvidenza, libera la mente e vai…
Ciao Diana, grazie per il tuo racconto di viaggio! Le tue parole hanno un suono che mi sembra familiare, per questo è stato così bello leggerti e perdersi. E ritrovarmi. Dentro a posti che sogno di vedere e che prossimamente farò. Grazie per le tue indicazioni. Per il tuo perentorio “Phnom Penh si vede o si vede” , mi erano bastati gli scritti di Terzani per pensare che avevo già saputo e immaginato fin troppo. Ma ora più che mai ho capito che è doveroso farlo di persona se davvero voglio capire e “sentire” questo popolo. Grazie di cuore! Fede
Ciao Fede,
Grazie mille per il tuo riscontro! Si assolutamente Phnom Penh va vista, preparati perché è dura da digerire, io sono uscita piangendo ma fa parte del viaggio e della conoscenza del posto. Sono sicura che farai uno splendido viaggio. Un abbraccione