Ponta de Areia, a praia mais bonita da Ilha Itaparica.
Questo è quel che mi è stato detto quando sono approdata a Mar Grande, uno dei due punti di accesso a Ilha Itaparica.
Natale con rapina a mano armata a Ilha Itaparica
Mancano pochi giorni a Natale e il desiderio di trascorrere qualche giorno lontana dal caos e le tensioni di Salvador è diventata una necessità impellente. Così io e Kilian, un tedesco con cui vivo in simbiosi dal mio arrivo all’Hostel Torre, tiriamo su la tenda e quattro stracci e traghettiamo a Ilha Itaparica, meta quasi esclusiva di turismo brasiliano. Generalmente gli stranieri la visitano con una gita in giornata riservando più tempo al Morro de Sao Paulo che, non mi vergogno a dirlo, mi ha un po’ delusa.
Un bel churrasco per celebrare il nostro arrivo prima di decidere dove dirigerci. In mancanza di un ufficio del turismo, ci affidiamo ai consigli della gente interpellata a caso per strada: tutti concordano sulla scelta di Ponta de Areia come la spiaggia più bella di Ilha Itaparica.
La raggiungiamo in autostop dopo quaranta minuti di attesa, quando siamo ormai quasi rassegnati a pagare un van: ci carica una famiglia di cinque persone che devia il suo percorso per portarci a destinazione.

Prima di parlarvi di Ponta de Areia, però, ti parlerò di Kilian, un ragazzo di trentasei anni che ha fatto del viaggio la propria vita. Sono otto anni che è in giro per il mondo, lasciandosi alle spalle una vita comoda e a dir poco agiata. Un personaggio fuori dalla norma che ritiene un’ingiustizia sociale il dover pagare per un alloggio e che considera la civiltà una barbarie e la natura l’unica cosa di cui abbiamo realmente bisogno per vivere. Un mezzo troglodita che usa la cenere al posto del sapone e si lava i denti con un chiodo di garofano. Spende soldi solo ed esclusivamente per alimentarsi, nel suo zaino una tenda, tre paia di pantaloni che ha cucito con le sue mani e due magliette piene di buchi.
Spesso si perde in vaneggiamenti filosofico-esistenziali che non sempre comprendo e condivido, ma è una compagnia piacevole e intelligente che mi ha fatto riflettere molto sulle difficoltà di una vita come la sua. Dopo otto anni Kilian si sente stanco, confuso, perso. “Vorrei trovare un posto in cui fissare la mia dimora ma non è facile. Sono troppi anni che vado avanti così e non conosco un altro modo di vivere. Mi sento terribilmente solo. Nella mia vita entrano migliaia di persone e così come entrano se ne vanno tutte”, mi confessa una mattina con le lacrime che gli rigano il volto.
Già, non è affatto facile la vita del nomade solitario, probabilmente in fondo l’ho sempre saputo ed è questa la ragione per cui non ho mai avuto il coraggio di mollare tutto e vivere così. Nei suoi occhi ho letto subito tristezza, solitudine, dolore, bisogno che lui non ha fatto nulla per nascondermi.
Perché quando viaggi da solo, e a lungo, è tutto più accelerato, ti connetti con le persone che incontri a una velocità supersonica e il tempo che passi con loro diventa infinito: che siano ore, giorni, settimane o mesi, non fa alcuna differenza. E quando poi riprendi il cammino ti senti come se stessi perdendo la persona, o le persone, più importanti della tua vita, e ti senti perso, spaesato, smarrito. Quantomeno, a me succede così!
Scusa la digressione, il flusso dei miei pensieri è talmente rapido e imponente che le mie dita non riescono a opporsi. Ma torniamo a noi…
Ponta de Areia ci accoglie di lunedì pomeriggio ed è praticamente deserta. Acque tranquille e caldissime, il che non è poi così scontato in questa zona le cui spiagge ventose ben si prestano a praticare Kite e Surf, una lunga strada che costeggia la spiaggia disseminata di ristorantini vista mare, qualche pousada tutt’altro che economica, graziose villette che affittano stanze e un paio di negozietti di alimentari che si differenziano per il nome ma non per la merce.
Nella ricerca di un posticino sicuro in cui piantare la tenda ci imbattiamo in due fratelli argentini, Tony e Jorge, che ci invitano ad accampare davanti al loro ristorante sotto l’ala protettiva del vigilante notturno. “Es peligroso acampar adonde sea”, ci dice Tony offrendoci una birra. “Aqui estàn en su casa, pueden utilizar la cocina, el baño y quedarse hasta cuando quieran.”
Bingo. Un paio di giorni di totale relax è l’ideale per rigenerare corpo e spirito. Mare, spiaggia, sole, una leggera brezza, le nuvole che disegnano il cielo, la notte stellata con la luna che si appresta a esprimersi in tutta la sua interezza. Una bottiglia di cachaza e la musica di Kilian che anima la serata: se non fosse per la presenza in cucina di cucarachas dalle dimensioni esagerate, dilaterei questo momento all’infinito.
Purtroppo però l’infinito dura solo un paio di giorni. A Salvador mi attendono per la cena di Natale da celebrare tra le mura familiari dell’Hostel Torre. Mi sento bene, mi sento a casa, mi sento amata. Un Natale perfetto e Neuza, che mi tratta più come una sorella che come una volontaria, mi abbona i giorni in cui non ho lavorato e mi regala anche il weekend di Natale.
Senza pensarci due volte propongo a Chris, una spagnola che è a Salvador per un intercambio universitario, di tornare con me a Ilha Itaparica. Ho voglia di condividere un pezzo di strada con lei nonostante la notevole differenza di età. Quando si viaggia si abbattono tutte le barriere!
Neuza, che nutre per me e Chris una predilezione, ci congeda con le lacrime agli occhi ringraziandoci per essere state presenti alla cena di Natale. Non è un buon momento per lei: a una settimana dal mio arrivo ha chiuso con il marito dopo venti anni di matrimonio e anche se sta reagendo alla grande, immagino non sia facile. Mi chiedo se è giusto lasciarla sola ma lei asserisce di star bene e non voglio essere invadente. Ci accompagna alla porta e ci abbraccia con calore.
Tenda, chitarra, artesania e pegando carona raggiungiamo Ponta de Areia in men che non si dica. Molto più facile per due ragazze recuperare un passaggio: scendiamo da una macchina e saliamo sull’altra senza quasi accorgercene.
Nessuno sa del mio ritorno a Ilha Itaparica ed è bello ritrovare tutte le persone conosciute, in particolare Kilian che ha poco e niente dei geni tedeschi e si illumina quando mi vede apparire all’orizzonte. “È il giorno di Natale e stasera ci sarà la luna piena, un bellissimo regalo averti ancora qui”, mi sussurra avvolgendomi in un caldo abbraccio. Johanna, la figlia tredicenne di Tony, metà argentina e metà brasiliana, mi salta addosso e mi stringe fino a togliermi il fiato. Mi sento piena di amore, un amore incondizionato, e sono felice.
Alle 18.00 il ristorante chiude e ci avviamo tutti quanti al pueblo vicino, Itaparica, dove ci sarà la festa di Natale. In mezzo alla pista la gente si dimena scalmanata al ritmo della samba e ci trascina in questo vortice vertiginoso di corpi sudati che hanno la musica nel sangue.
Lontani da Salvador, dove si vive sempre in stato di allerta, dimentichiamo di essere in Brasile e ci allontaniamo in cerca di un po’ di tranquillità. Nessuno di noi tre è un viaggiatore in erba ma tutti sentiamo la stessa piacevole sensazione di pace e tranquillità. La luna piena illumina il cammino traendoci in inganno e conducendoci laddove il lupo ci attende in agguato.
Completamente persa nell’atmosfera magica della notte di Natale, non realizzo subito quel che sta accadendo attorno a me. “Questa è una rapina, state tranquilli con le mani alzate e non vi succederà nulla!” Apro gli occhi e mi accorgo che siamo circondati: tre ragazzi, di cui uno con una pistola puntata contro di noi.
Sono incredula, mi sembra di essere la comparsa di un film. Ma non è un film, è la realtà. Kilian e Chris si svegliano grazie a una sberla in pieno volto mentre io mi trovo una lama di trenta centimetri puntata alla gola. Inutile dire che ci perquisiscono da capo a fondo e si portano via il cellulare e i 20 euro che abbiamo addosso per passare la serata. Ma siamo fortunati che non ci abbiano fatto altro, ci dice un rastaman che, sapendoci senza soldi, ci sovvenziona la festa a base di clavinho.
Già, perché quando i malandrini se ne vanno, noi torniamo in mezzo alla gente. Inutile piangere sul latte versato. “A gente foi idiota” ci diciamo all’unisono scoppiando a ridere. “Siamo qui per divertirci? Divertiamoci!”
E così passiamo quattro ore in allegria con i locali che messi al corrente dell’accaduto ci offrono di tutto. Nessuno si sorprende del fatto che ci abbiano rapinati, è una cosa assolutamente all’ordine del giorno a Salvador! E la buena onda che si respira è talmente forte che nel giro di pochi minuti dimentico la lama sul mio collo, la paura, l’angoscia, e mi lascio andare totalmente e incondizionatamente. Non voglio che questa brutta storia mi cambi l’onda, che mi rovini il viaggio, che mi impedisca di vivere questo sogno.

Non sono stata rapinata perché sono gringa ma perché me la sono andata a cercare. E se anche ho conosciuto il lato più oscuro di Salvador, ti confesso che la luce e l’energia di questo posto non ha eguali e vince alla grande. Ho ancora tre mesi davanti a me e voglio viverli spensierata, con ottimismo e fiducia nella gente che incontro, perché non conosco un altro modo di viaggiare, e nemmeno mi interessa conoscerlo.
La Globetrotter
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Quando si dice che non te ne fai mancare una…
Direi proprio di si… ma fa parte della vita Claudia! un bacio grandissimo ci si sente il prossimo anno…
Un post bellissimo. Peccato per la rapina, ma si respira grande ottimismo.
Sempre molto ottimosmo Patrick… e’ l’unico modo per non permettere alle cose negative di sopraffarti e attirare energia positiva! Grazie… un abbraccio
Mio fratello si è fatto fregare il telefono due volte in feste super controllate, io giusto un po’ di soldi dalle tasche.. ma rapine fortunatamente mai!!
L importante è dare tutto e non reagire.. e fuori città attenzione anche ai posti di blocco della polizia, fermano le auto e chiedono soldi per evitare problemi.. ci è capitato due volte e ci è costato molto più dei furti convenzionali :/
Buon viaggio e buon annooo
Grazie Roby! Sono cose che capitano, se si tratta di soldi o cellulari chi se ne frega, ci sono ben altre cose importanti nella vita… buon anno!
Ancora una volta ho ammirato la tua capacità di passare sopra serenamente agli ”imprevisti” di viaggio.
Sono anche molto interessanti le tue considerazioni esistenziali sui problemi del ”viaggiare sempre”, senza radici e stabilità e legami: sembra quasi che ci si illuda di essere liberi mentre in vece si è schiavi del ”viaggiare”.
Si Lauro, devo dire che la conoscenza di Kilian mi ha aperto gli occhi… vivere senza legami e senza radici non e’ la soluzione, come ogni cosa ha il rovescio della medaglia… ma io credo di aver deciso la strada da prendere, al mio rientro ne parleremo… un abbraccio forte e grazie come sempre per le tue belle parole…
Dici che da quelle parti sono situazioni considerate normali… Non so cosa pensare. Per fortuna prevalgono di gran lunga i momenti piacevoli.
Come al solito il tuo racconto è così vivo che leggendo mi sembra quasi essere lì vicino a te. Auguroni per tutto!
Non so cosa pensare nemmeno io cara Petra! Tantissimi auguroni anche a te… a prestissimo!
Finalmente trovo il momento per leggerti, cara Diana, e per distrarmi con i tuoi racconti sempre avvincenti, insoliti, originali e fuori dagli schemi. Per fortuna hai potuto raccontarci la tua disavventura lasciandotela alle spalle senza compromettere l’esito del tuo viaggio e la tua gioia di continuare. Al tuo ritorno, ancora lontano, avrai uno zainetto da città rimesso a nuovo. Ti auguro un fantastico 2016. Nadia
Carissima Nadia, grazie mille, spero che tu stia bene… qui siamo da stamattina in mezzo all’uragano nuotiamo nelle acque dell’ostello tutta un’avventura… un forte abbraccio e un fantastico 2016 anche a te…