Sulla strada che da Buenos Aires conduce alle cascate di Iguazu si trovano le rovine gesuite di San Ignacio Mini, dichiarate dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità nell’ormai lontano 1983. Una tappa obbligata per gli appassionati di storia del Nuovo Mondo e una piacevole sosta per spezzare il lungo viaggio verso Iguazu se si procede via terra dalla capitale.
Io ci sono stata nel 2012. Ero agli albori della mia carriera di viaggiatrice fricchettona e ci sono arrivata in autostop in compagnia di un giocoliere colombiano. Non sono pazza! L’Argentina è uno di quei posti in cui viajar a dedo è qualcosa che ancora va per la maggiore ed è, tutto sommato, sicuro! Certo, per quanto possa considerarsi sicuro infilarsi nella macchina di uno sconosciuto, lo so bene, ma a me divertiva parecchio l’idea di un viaggio alternativo e se sono qui a raccontarlo è perché è filato tutto liscio! Anche se, ti confesso, da sola non l’avrei fatto! Frikky sì, ma frikky con la testa!
Era il mese di gennaio e l’afa estivale rendeva Buenos Aires invivibile per cui chiacchierando con Sergio, un amico colombiano, è nata l’idea di andare in cerca di un po’ di refrigerio al nord. Detto fatto. Zaino in spalla, tenda in mano, clave e artigianato in una borsa e via! Con un unico must: raggiungere le famigerate cascate. Per il resto, avremmo seguito l’onda.
Quando viaggi in autostop devi essere un po’ flessibile e proprio per questo non avevamo pianificato nulla anche se in cuor mio speravo di riuscire a fare tappa alle missioni che mi incuriosivano dai tempi dell’università quando con la mente percorrevo i territori ancora inesplorati dell’America pre-colombiana.
Il destino ha voluto che imboccassimo la strada giusta e senza quasi accorgercene ci siamo ritrovati a Posadas, capoluogo del dipartimento di Misiones, vicino alla frontiera con il Paraguay. Una città senza né arte né parte che ricordo solo per il caldo infernale comparabile a quello della capitale e per la vicinanza con la missione di San Ignacio Mini, raggiungibile in meno di un’ora.
Viaggio a parte, che è stato memorabile ma marginale rispetto alla storia che sto per raccontarti, sono rimasta piacevolmente colpita dallo scenario delle rovine di San Ignacio Mini e ti consiglio vivamente di inserirle nel tuo itinerario se sei interessati al nord dell’Argentina.
Perché qui, più che altrove, un pezzo della nostra storia – la storia del vecchio continente – si intreccia e si fonde con quella degli autoctoni del periodo pre e post colonizzazione e, quindi, ci riguarda da vicino.

Le missioni gesuite di San Ignacio Mini
Iniziamo il nostro viaggio con un salto temporale e torniamo al 1610, anno in cui i sacerdoti José Cataldino e Simón Masceta fondano nei dintorni di Guayra, in Brasile, la prima San Ignacio Mini. Dopo aver resistito per circa vent’anni con una tenacia e una determinazione encomiabili agli assedi dei banditi e dei cacciatori di schiavi portoghesi, i due gesuiti decidono di abbandonare la missione e di ripiegare nei pressi del fiume Yabebiri ove risiedono fino al 1696 quando si stabiliscono, definitivamente, nella provincia di Misiones. Il sito, che occupa una superficie di 1.687 km², ospita circa 4000 indiani guaranì che vivono con i gesuiti all’interno della missione in un clima di reciproco rispetto e totale armonia.
Nel corso del XVII secolo, e fino alla metà del secolo successivo, assistiamo alla proliferazione di missioni gesuite sugli attuali territori di Paraguay, Brasile e Uruguay. Contestualmente, lo sviluppo di un movimento artistico noto come Barocco-Guaraní testimonia la simbiosi culturale tra i religiosi e i nativi ed esprime la sua essenza in elaborati disegni sulle colonne delle chiese che riproducono, accanto ad angeli e colombe, ornamenti floreali di ispirazione indigena. La pacifica convivenza tra i due mondi è destinata a spezzarsi quando Carlo II, re di Spagna, decreta l’espulsione dell’ordine gesuita dal paese.
Cosa abbia indotto la corona spagnola ad assumere una decisione così drastica resta tutt’oggi un punto di domanda.
I gesuiti si insediano nel Nuovo Mondo spinti dal desiderio di evangelizzare i nativi e, a differenza di quanto accade in buona parte del continente in seguito alla conquista e alla colonizzazione, non impongono la loro cultura ma coniugano l’insegnamento del Vangelo con gli usi e i costumi tradizionali autoctoni. E per la prima volta uomini che non parlano latino sono autorizzati a servire la messa diretta dai religiosi. Un atteggiamento che infastidisce i reali spagnoli, interessati allo sfruttamento del territorio più che all’emancipazione civile e culturale dei suoi abitanti. Questa, secondo gli attuali residenti di Misiones, la ragione che giustificherebbe l’espulsione dei gesuiti dal territorio e la distruzione di buona parte delle consorelle paraguaye.
Quella che vediamo oggi a San Ignacio è in realtà il frutto di un’opera di restaurazione totale, eseguita negli anni Quaranta del secolo scorso, che ha riportato alla luce una delle missioni più emblematiche e significative della Compagnia di Gesù nel Nuovo Mondo.
Questo è quel che raccontano le fonti in merito alla storia della missione gesuita di San Ignacio Mini.
Poi, volendo polemizzare, potremmo interrogare i guaranì per capire fino a che punto erano felici e contenti dell’opera di evangelizzazione posta in atto dai gesuiti nei loro confronti. ma probabilmente apriremmo un capitolo infinito… io però, di pancia, non credo abbiano fatto i salti di gioia! Insomma, se fossi stata una guaranì sarei stata sicuramente un soggetto difficile da domare!

E tu invece? Ti sei mai soffermato a pensare al genocidio fisico e culturale di cui si sono macchiati i nostri avi? Credi davvero che la missione di San Ignacio Mini costituisca l’eccezione alla regola?
La Globetrotter
Per maggiori informazioni sull’argomento, consulta il sito misionesturismo.com.ar.
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wow Diana che capitolo interessante della nostra storia hai aperto…effettivamente il processo di divulgazione del vangelo e la relativa cristianizzazione portata avanti da noi europei “civilizzati” in varie parti del mondo, America latina e Africa in particolare, è un capitolo doloroso che non si è concluso lì.
La colonizzazione del nuovo mondo ha sicuramente lasciato molte ferite ancora aperte, e come dici tu, sarebbe interessante chiedere ai guaranì, e alle altre popolazioni sopravvissute, la loro versione dei fatti.
Grazie Antonella, mi fa molto piacere aver stimolato la tua riflessione! Ci sarebbe tanto da dire in merito… e tanto da scusarsi! Ma va beh, come ho detto prima, non apriamo polemiche… Buon fine settimana!
inserite nel nostro giro mentre siamo alle cascate Iguazù. Ci siamo tenuti un giorno per visitarle
Ottimo Daniela, hai fatto bene… un viaggio è fatto di tante cose, piccoli e grandi! Le cascate sono un colosso della natura, le missioni gestite un pezzo di storia importante. Un caro saluto.
Grazie Diana, ti seguo sempre e sei una fonte costante di idee….ma per questa meta sei stata una conferma che ho fatto bene a costringere gli altri ad un giorno in più di permanenza. Cari saluti anche a te e buon we!
Mi fa davvero piacere, spero solo di essere sempre all’altezza delle aspettative! Sai com’è, è tutto molto soggettivo… io sono felice di esserci andata, poi mi dirai! Buon weekend anche a te!
Le storia passate dei popoli, soprattutto quelle tristi le evitavo. Poi ho incrociato una persona speciale che mi ha fatto capire quanto ero capra. Ora mi affanno a recuperare. Ci provo
Se quella persona speciale ti ha fatto sentire una capra caro Alfonso, non è poi così speciale! Piuttosto, credo che tu abbia incontrato la persona che ti ha aperto gli occhi nel momento in cui eri pronto a farlo. E’ successo anche a me in passato, parlo con cognizione di causa! Sono sicura che stai andando nella direzione giusta, che è la tua…