Dadaista, surrealista, romantico, patafisico e umanista interessato al Rinascimento. Una figura emblematica quella di Max Ernst, in mostra a Palazzo Reale dallo scorso 4 ottobre e visitabile fino al prossimo 26 febbraio con oltre 400 opere – tra dipinti, sculture, disegni, collages, fotografie, gioielli e libri illustrati – che restituiscono l’attività e la personalità sfaccettata dell’artista tedesco. Si tratta della prima grande retrospettiva italiana dedicata all’eclettico Max – pittore, scultore, orefice, poeta e teorico dell’arte – curata da Jürgen Pech (tra i massimi studiosi di Ernst) e Martina Mazzotta, figlia dell’editore Gabriele Mazzotta, che lo definisce il “Leonardo del Novecento”.

Promossa e prodotta dal Comune di Milano-Cultura e da Palazzo Reale con Electa, in collaborazione con Medeinart, la mostra Max Ernst è suddivisa in quattro periodi che ne scandiscono la biografia e propone un viaggio in nove tappe (tante quante sono le sale tematiche) che ripercorrono gli spostamenti della sua vita e la sua formazione enciclopedica:
- gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza in Germania (fonti di memoria e ispirazione per la sua vena creativa), la Grande Guerra – che Ernst paragona a un periodo di morte – e il successivo ritorno alla vita con l’amore, il matrimonio e la nascita del figlio, fino al dadaismo, l’invenzione del collage e il proto-surrealismo sono l’oggetto delle prime due sale: La rivoluzione copernicana e All’interno della visione;
- la terza e la quarta sala – rispettivamente La casa di Eaubonne ed Eros e metamorfosi – conducono nella sfera privata di Max Ernst che ha come protagonisti l’amore, l’amicizia e l’erotismo: dagli anni trascorsi in Francia all’affermarsi del surrealismo, il secondo matrimonio, i viaggi, le sperimentazioni e gli scambi con altri protagonisti delle avanguardie, fino all’avvento della Seconda Guerra Mondiale, la prigionia e infine l’esilio negli Stati Uniti;
- l’importanza della natura e del paesaggio nell’opera di Max Ernst emerge tra la quinta e la settima sala – I quattro elementi, Natura e visione e Il piacere di creare forme – ed è funzionale sia all’invenzione di tecniche artistiche (frottage, grattage, decalcomania e dripping) sia alla creazione dei filoni Fantastico e Meraviglioso che riflettono la tensione costante tra parola e immagine, spirito e materia;
- l’ottava sala, Memoria e Meraviglia, è dedicata al ritorno in Europa e illustra un’arte che intrattiene con il passato, e con la memoria, un rapporto intimo e consapevole, mentre il gran finale, che impone di rivolgere lo sguardo alle stelle, è rappresentato nell’ultima sala, Cosmo e crittografie.

L’ho visitata la settimana scorsa spinta dal desiderio di conoscere qualcosa di più sulla vita e l’opera dell’uomo e genio visionario Max Ernst. Nato in Germania, vissuto a lungo in Francia e negli Stati Uniti (dove espatriò perché ritenuto dai nazisti un artista degenerato), con la sua parabola artistica ed esistenziale attraversa settant’anni di storia del secolo scorso (Brühl, 1891 – Parigi, 1976) seguendo le sorti dell’Europa e del mondo dell’epoca.

La sua opera – che sfugge a qualsiasi definizione tangibile – ruota attorno all’uomo, alla memoria, all’inconscio, all’introspezione, all’erotismo e all’antinaturalismo e pur essendo frutto di uno degli artisti più interessanti del XX secolo, è tuttora poco conosciuta al grande pubblico.
Chi ha occhi per vedere, guardi. Chi non ha occhi per vedere, se ne vada.
Max Ernst
Un invito a fruire al meglio dei dettagli che compaiono nei suoi dipinti e a osservare con attenzione la presenza di elementi misteriosi, paradossi e invenzioni formali che definiscono la sua opera, ma anche una sfida per il visitatore a cimentarsi in affascinanti giochi di percezione.

Per informazioni dettagliate su prezzi, orari e prenotazioni, consulta QUI il sito ufficiale.
La Globetrotter
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