Sette volte in Colombia per un periodo complessivo di permanenza nel paese pari a otto mesi e mezzo – ebbene si, li ho contati… fanno fede i timbri sul passaporto! Non conto il numero di paesi visitati ma conto il numero di mesi passati viaggiando! – e ancora mi stupisco nel trovare luoghi e storie da raccontare. Una di queste riguarda il mito dell’Eldorado nato attorno alla laguna di Guatavita, 70 chilometri a nord di Bogota, che tra le sue acque custodisce storie e leggende della cultura Muisca.

Ma chi sono i Muisca, ti starai chiedendo. I Muisca sono un gruppo etnico di cultura chibcha dedito all’agricoltura e all’artigianato che in tempi remoti, prima ancora della scoperta del Nuovo Mondo, occupava la parte orientale della cordigliera andina in Colombia.

Ho avuto modo di visitare la laguna di Guatavita con un tour in giornata da Bogota e pur non rientrando tra i must della Colombia, è sicuramente una gita piacevole per “spezzare” con la frenesia della capitale. Esattamente come questo post che vuole essere breve e leggero – ma non per questo poco interessante – per “spezzare” un po’ il clima denso e pesante di questi giorni di quarantena.

Detto fatto, eccomi sul pezzo. Del mito dell’Eldorado presumo tu abbia già sentito parlare: magari ti suona familiare ma in questo momento non riesci a dargli una precisa dimensione spazio-temporale? Ecco qui l’abbinamento tra nome e contenuto!

La laguna di Guatavita

Secondo la tradizione Muisca, Guatavita era governata da un cacique di nome Sua che aveva preso in moglie la principessa di una tribù vicina da cui aveva avuto una splendida bambina. Nonostante fosse formalmente impegnato, Sue aveva continuato con la sua vita libertina fino a quando la donna, stanca dei continui tradimenti, aveva ceduto alle avances di un guerriero che la corteggiava e aveva finito con l’innamorarsene.

Venuto a conoscenza del tradimento, per vendicare l’affronto subito, Sue sottomise l’avversario a torture tremende arrivando al punto di strappargli il cuore dal petto e darlo in pasto alla sposa fedifraga che, disperata, si inabissò nella laguna con la figlia tra le braccia. A quel punto Sue, in preda al pentimento, ordinò ai sacerdoti di recuperare la sua famiglia ma questi si presentarono poco dopo al suo cospetto con una bimba senza occhi informandolo che la donna viveva ormai negli abissi dove si era sposata con un serpente.

Fu così che Sue decise di fare di Guatavita un centro cerimoniale. Una volta al mese, durante le notti di plenilunio, il cacique e i suoi sudditi rendevano omaggio alle divinità offrendo filigrane d’oro e smeraldi in cambio di prosperità e benessere.

alt="Laguna di Guatavita, depositaria del mito dell'Eldorado"
La laguna di Guatavita

Il mito dell’Eldorado

Quando arrivarono i conquistadores spagnoli, il rituale si era arricchito di un nuovo significato. In occasione dell’ascesa al trono di un nuovo cacique, che generalmente era cugino del precedente, la laguna di Guatavita diventava lo scenario di quello che sarebbe divenuto il mito dell’Eldorado (nella dicitura corretta l’El Dorado che sta per “l’Indio Dorato”).

Secondo i racconti tramandati dalla tradizione orale il cacique designato ad assumere il comando del regno, dopo aver trascorso nove giorni di isolamento tra digiuno e astinenza, veniva preparato per l’investitura. A bordo di una zattera raggiungeva il centro della laguna e lasciava cadere il suo mantello mostrando il corpo nudo interamente ricoperto di polvere d’oro.

Poi, rivolto verso est, attendeva il sorgere del sole per immergersi nelle acque del lago e lasciare sulla superficie una scia d’oro. A quel punto i fedeli, dalle sponde del lago, iniziavano a gettare oro e smeraldi sul fondo del bacino alimentando un mito che perdurò nei secoli e che giustificherebbe ancora oggi la febbre dell’oro di esploratori e conquistatori di tutto il mondo.

Quanto effettivamente ci sia di vero in queste storie non lo so ma rivestire i luoghi di un’aurea leggendaria stimola la creatività e l’immaginazione per cui ben vengano. Perché alla fine, se ci pensi bene, di questo si tratta! Il piacere estetico di un luogo – così come di un oggetto, di una persona o quant’altro – è legato al valore intrinseco di cui noi lo carichiamo.

Io quantomeno la vivo così e tu? Credi nella bellezza oggettiva, fine a se stessa, o hai una visione più vicina alla mia?

alt="Paesaggio lungo la strada da Bogota a Guatavita"
Paesaggio lungo la strada da Bogota a Guatavita

La Globetrotter

Se cerchi spunti per organizzare un viaggio nella terra di Márquez, leggi il mio post COLOMBIA TUTTA DA SCOPRIRE, un affresco su tutto ciò che questa meravigliosa terra ha da offrire. Altri articoli dettagliati sulla Colombia li trovi invece QUI.

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4 pensieri su “Il mito dell’Eldorado e la leggendaria laguna di Guatavita

  1. Alfonso dice:

    Che esista una bellezza oggettiva ne sono certo:che possa essere una gran bella donna,una bella casa vista mare,un auto fiammante,un vestito che spacca.,ma tutto ciò si stanca facilmente se non è supportato da un trasporto da un perché, come dici tu da un valore intrinseco .In mancanza di ciò una bella donna si trasforma in una noiosa principessa sul pisello,una bella casa prende le sembianze di Alcatraz,il vestito sarà ottimo solo per riempire l’armadio.Ecco come vedi e sai faccio una fatica ciclopica ad esternare per iscritto un concetto ma tengo in modo particolare ad essere presente sul blog.

    • Diana Facile dice:

      Sei sempre il benvenuto sul blog caro Alfonso lo sai. Non sono concetti facili da materializzare lo so bene ma credo di aver colto in pieno il senso del tuo discorso. Grazie

  2. Annalisa Rossi Marzili dice:

    Io credo di pensarla come te cara Diana. Mi è capitato di visitare luoghi sicuramente belli, decantati e famosi che non mi hanno lasciato dentro quello che altri, magari piccoli scorci, magari avvolti dalla particolarità del momento o, semplicemente, dalle mie aspettative o da una luce e atmosfera speciale, mi hanno lasciato, diventando ricordi indelebili.

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