Era il gennaio del 2009 e molte delle persone a cui ho detto entusiasta sto andando in Togo credo abbiano dubitato del mio stato di salute mentale, rimarcando che i Togo sono dei biscottini ricoperti di cioccolato con cui deliziarsi il palato all’ora del tè, che poi di fatto è la migliore metafora per descrivere ciò che ho trovato laggiù. Un paese dolce ed evocativo che per anni ha stimolato le mie fantasie più intime e che un giorno, casualmente, è diventato realtà. Ecco perché ho deciso di mettere nero su bianco un pezzo del mio viaggio nel cuore del paese: dalla verdeggiante e lussureggiante regione degli altipiani alla dolcezza di un luogo semisconosciuto ai più che suona al nome di Kpalimé e, a seguire, il nord con un focus su Kara e i Tamberma.

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bambina togolese
I bambini togolesi hanno poco ma gli occhi brillano di gioia

Kpalimé, un luogo dell’anima

Raggiungo Kpalimé in taxi-brousse partendo da Lomé e trovo subito alloggio in un albergo a conduzione familiare, una stanzetta senza né arte né parte inclusiva di bagno e ventilatore. Mi sistemo al volo ed esco a fare un giro in cerca di un cybercafé: per accedere a internet attendo due ore perché hanno tagliato l’elettricità. Se questa è una della città più importanti del Togo, non oso immaginare cosa sia il resto del paese!

La cittadina è carina ma ciò che la rende magica è il paesaggio circostante. La vegetazione florida e lussureggiante e i due monti che la sovrastano – il Klouto da un lato e l’Agou dall’altro – le conferiscono un’atmosfera quasi irreale.

Ansiosa di esplorare i dintorni di Kpalimé con l’ausilio di qualcuno che possa rendere quest’esperienza significativa oltre che emozionante, decido di non affidarmi alle faux guides che mi si propongono a ogni angolo della strada e mi rivolgo all’ADETOP, Association Découverte Togo Profond, un’associazione che mira a promuovere il turismo nella regione. Ci accordiamo su un paio di itinerari in moto in compagnia di Thomas, la loro guida ufficiale.

È buio quando esco dall’ADETOP. La sola fonte d’illuminazione è quella dei fanali delle auto e delle moto che circolano per strada. Mi fermo in una buvette a bere un paio di birre con Patrice, l’ivoriano con cui ho condiviso per tre ore il sedile del taxi, e poi mi rintano nella mia stanzetta per refrigerarmi davanti al ventilatore. L’idillio dura poco. Un nuovo taglio di corrente mi fa sudare copiosamente tutta la notte.

Alle otto e trenta del mattino sono arzilla e attendo Thomas che mi chiama a viva voce dalla strada, puntuale come un orologio svizzero. Non c’è male per un africano, ma Thomas è un africano atipico. Una persona attiva, con voglia di fare e di crescere senza limitarsi ad accettare passivamente un cadeau dai bianchi o la manna dal cielo. Mi fa piacere scoprire che nei giovani, quantomeno in alcuni di loro, la mentalità stia cambiando, senza per questo perdere o rinunciare alle proprie tradizioni, i propri usi, i propri riti.

Thomas ha un sogno e lo insegue con determinazione. Questo sogno non si chiama Europa bensì Togo. Non è riuscito a finire la scuola e prendere il BAC perché la sua famiglia non aveva i mezzi per il suo sostentamento, ma non ha mai smesso di studiare da solo. Ora lavora per realizzare il suo sogno: costruire una biblioteca in riva al fiume dove coloro che non hanno soldi potranno studiare, prendere libri in prestito e trovare un supporto morale o un aiuto pratico, se ne hanno bisogno. È un ragazzo in gamba, intelligente e responsabile, che cerca di costruire la sua vita senza dimenticare chi è, con un gran rispetto per l’ambiente e la gente, bianca o nera che sia.

Partiamo alla volta di Agou Kpéta, un delizioso villaggio costruito nel XVII secolo sull’omonimo monte. Attraversiamo in moto una ricca e folta vegetazione. Lungo la strada ci fermiamo a gustare il vin de palme. Denso e zuccherino, scende con piacere solleticando l’esofago.

Villaggio di Agou Kpéta in Togo
Villaggio di Agou Kpéta

Ci addentriamo poi nella fitta foresta fino a raggiungere quella che loro chiamano fattoria e che ai miei occhi appare come una catapecchia inagibile. Vi abita un coppia che vive prevalentemente dei frutti della terra. Il marito ci accompagna in questo viaggio nella rigogliosa vegetazione circostante, offrendomi come ossequio da gustare i frutti da cui si producono il cacao e la pianta del caffè. Coltivazioni che qui si usano molto, allo stato grezzo, perché dopo le prime fasi il prodotto viene raffinato all’estero e rivenduto poi a un prezzo esorbitante.

Finita la passeggiata in mezzo ad alberi secolari e liane, il vecchio inizia a emettere una sorta di richiamo cui fa seguito un eco. È la risposta. Ci addentriamo ancor di più fino a quando mi trovo dinanzi un donnone in pantaloni alla pescatora e petto nudo che con un’ascia in mano spacca la legna da vendere al mercato. Resto basita nel vedere con che forza e vigore la donna, che mi confessa di masticare la noce di cola quando ha i cali d’energia, si abbatte sul tronco che si sgretola sotto i suoi colpi come un castello di sabbia raggiunto dall’onda. Rientriamo alla fattoria dopo aver assaggiato, tra le altre cose, la noce di cola, che non apprezzo affatto. Troppo dura e amara al gusto secondo i miei standard, ma se da tempo immemorabile viene utilizzata dagli indigeni di varie parti del mondo, una ragione ci sarà.

Incontri sugli altopiani di Kpalimé
Incontri sugli altopiani di Kpalimé

Risaliamo in moto per riprendere il cammino, completamente immersi nella natura.

L’aria fresca e la brezza mattutina alleviano l’arsura generata dal caldo torrido. Iniziamo la salita del monte Agou, il più alto del Togo. Si eleva per ben 906 metri e regala una vista incantevole nonostante la presenza dell’Harmattam che avvolge il paesaggio in un velo di foschia.

Dinanzi a noi vallate sterminate si alternano a colline dietro le quali si celano altre valli. Il verde della vegetazione si alterna più o meno ritmicamente al colore rosso della terra e ho come la sensazione di perdermi nell’infinito. L’occhio cerca di scorgere il punto di non ritorno, invano. Un’immensità spaziale che mi fa sentire piccola dinanzi alla grandezza e la potenza della natura. Una natura ancora pressoché incontaminata, quasi selvaggia, che convive pacificamente con la natura coltivata dall’uomo.

Questa natura è in grado di dare frutti dal sapore diverso da quelli cui siamo abituati in Europa, al punto di chiederci se quella che stiamo assaporando è davvero una banana, un ananas, un mango o un avocado, o se invece è un dono divino destinato a chi ha deciso di saltare la linea di confine che ci separa dai nostri fratelli neri per farci tornare allo stato di benessere originario.

Africa. La chiamano la culla dell’umanità, ed è proprio qui che di fatto riemerge la bambina che è in me. Nonostante i disagi, le difficoltà e la miseria c’è qualcosa di magico, un richiamo, un qualcosa che non riesco a decifrare ma che non voglio ignorare, un qualcosa che mi ricarica, che mi rigenera, che mi dà fiducia, che mi rassicura interiormente. Come una madre con il suo bambino, come una casa o un rifugio per il pellegrino. Qui mi sento davvero me stessa. Qui mi sento finalmente a casa.

Arrivati in cima, visitiamo questo grazioso villaggio abbarbicato sul monte come un rapace sulla preda. Ci fermiamo su un masso a mangiare un panino all’avocado e sardine, banane, acqua, poi ci rilassiamo lasciandoci cullare dal dolce mormorio della natura.

Ci rimettiamo in marcia per raggiungere le cascate di Wome. Molto suggestive, quantomeno il contesto circostante perché le cascate, durante la stagione secca, si riducono a un filo d’acqua.

Cascate di Wome vicino a Kpalimé
Cascate di Wome

Rientriamo esausti a Kpalimé alle diciotto passate. Nei pressi dell’albergo incontro Patrice e chiacchieriamo un po’. Quattordici anni fa ha lasciato il suo paese e da allora non ha più visto la sua famiglia. Mi parla delle difficoltà che incontra ogni giorno, dei suoi progetti, del desiderio di rientrare per riabbracciare finalmente i suoi cari, dell’attesa che cambi il governo per poterlo fare, della sua solitudine, ma mi parla anche della sua voglia di reagire, di lottare e di riuscire.

Ogni incontro qui è una storia da ricordare. Una storia su cui riflettere ogni giorno della nostra vita, quando ci troviamo di fronte a difficoltà che ci appaiono insormontabili. Vorrei tanto riuscirci. Vorrei davvero che questo viaggio mi serva a questo. A ricordarmi dei mille volti incrociati, delle mille persone conosciute, dei mille racconti sentiti e dei mille sorrisi ricevuti per imparare a vivere senza più fare di una banalità un caso di stato, senza più piangere per ogni quisquilia, senza più abbattermi di fronte a un sassolino. Vorrei che questo viaggio mi aiuti a diventare adulta.

Trascorro la notte a difendermi dalle zanzare assassine che vogliono banchettare con il mio sangue. Alle otto del mattino Thomas si ripresenta al mio albergo: oggi visiteremo l’altopiano di Danyi.

La strada che percorriamo offre un paesaggio strepitoso che in alcuni punti mi ricorda la falesia di Badiangara, in Mali. Sfrecciamo liberi e veloci sull’asfalto che senza alcun preavviso si trasforma in pista. Rallentiamo la corsa per evitare di investire i numerosi capretti che, incuranti della velocità dei mezzi di locomozione, continuano beatamente la loro passeggiata. Già, perché li, in mezzo ai campi, sono loro i padroni indiscussi del territorio. Capre, galline e maiali scorrazzano ovunque.

È l’ennesimo salto nel passato. Un passato che io non ho vissuto. Quello dei miei genitori e dei miei nonni. Un passato remoto e dimenticato dalla nostra società in cui la tecnologia ha preso il sopravvento, facendoci perdere il gusto e il sapore della semplicità.

Giungiamo a l’Abbaye de l’Ascension, un monastero di monache benedettine interamente circondato dalla foresta. Ettari ed ettari di coltivazioni: dal caffè al peperoncino, dalla citronella agli aranceti, dalla manioca al mango. Potrei andare avanti all’infinito elencando ogni tipo di albero ma non voglio essere tediosa. Mi sento nel giardino dell’Eden.

Durante il tragitto ci eravamo fermati da una maman per comprare fagioli bianchi conditi con olio di palma e farina di manioca e ci godiamo questa delizia in un’atmosfera a dir poco fiabesca. Dopo pranzo, un po’ di relax accompagnato dal cinguettio degli uccelli e il fruscio della vegetazione, una breve visita al monastero e rientro a Kpalimé. Il tempo di una doccia e Thomas torna a prendermi per cenare da lui con i suoi fratelli. Un’esperienza incredibile. La magia di trovarmi lì con loro mentre preparano la cena, osservarli mescolare la farina sui carboni nell’attesa che diventi rossa e respirare il loro entusiasmo per la presenza di un’ospite inattesa non ha eguali!

cucina in Africa
Thomas prepara la cena

Subito dopo partiamo in moto per raggiungere la vetta del monte Klouto. Uno spettacolo a cui la luce del sole conferirebbe indubbiamente un’altra prospettiva, togliendogli però una parte di fascino.

La strada che porta al monte è costeggiata di alberi che, ergendosi sontuosi, si incrociano a metà strada dando vita a una galleria naturale che occulta completamente il cielo. Noi sfrecciamo veloci seguendo le curve di questa galleria che ogni tanto si interrompe per poche decine di metri, rivelando l’oscurità della notte in cui brillano una miriade infinita di stelle. Giunti in cima, godiamo della brezza notturna e del silenzio assoluto contemplando un cielo in continuo movimento.

Poco alla volta l’Harmattam dissolve le stelle, e lentamente riprendiamo la via di casa.

Vegetazione a Kpalimé in Togo
La lussureggiante vegetazione della zona di Kpalimé

La Globetrotter

Sei stato in Togo? Che idea ti sei fatto? Te l’immaginavi così verde?

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10 pensieri su “Viaggio in Togo: Kpalimé e la regione degli altopiani

  1. Rainaldo dice:

    Grazie Diana il tuo bellissimo sito, mi aiuta nella mia malattia, dove l’unica cura esistente è ritornare spesso a casa (l’Africa ) molto bello brava viaggiatrice

    • Diana dice:

      Grazie a te Rainaldo che nutri il mio spirito… per me scrivere è l’unico modo per non soccombere… non so se mi capisci ma credo di si…

  2. Michele dice:

    Ciao Diana, ciao viaggiatrice
    è uno splendore il tuo sito.
    Ma invece di farti i complimenti per come esponi i tuoi viaggi, per le fotografie, ecc ecc.
    vorrei dirti che ti ammiro per come intendi il mondo e lo rispetti, per come consideri ogni persona, uguali a tutti e tutti come noi…poveretti e piccoli, i più piccoli.

    Continua sempre e non fermarti mai…

    Ti abbraccio

  3. francesca dice:

    Diana, adoro il tuo modo di scrivere e… la descrizione di questo piccolo pezzo d’Africa che a breve esplorerò mi emoziona… è in gran parte cio che adoro io dell’Africa! Grazie!!

    • Diana dice:

      Grazie a te Francesca, mi da immensa gioia sapere che ti piace come scrivo, lo faccio con passione e credo mi venga bene con le cose che amo! E l’Africa è un contenitore di stimoli impressionante… sono sicura che ti innamorerai del Togo! E’ davvero dolce come i famosi biscottini, se non di più… Fai buon viaggio!

  4. Riccardo dice:

    Grandissima Diana!! Una vera globetrotter con un animo zingaro come il mio 🙂
    Articolo letto tutto d’un fiato e che mi tornerà utilissimo visto che il Togo è la mia prossima meta di viaggio!!
    Merci ma sœur

    • Diana dice:

      Bonjour mon frère!
      Grande tu che vai in Togo, ti incanterà… e Kpalimé è la parte del paese che mi è piaciuta di più! Ti seguirò…

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