Eravamo cinque amici al bar
Che volevano girare il mondo…
♬
Sulle note di questa canzone è nato il mio viaggio in Mauritania del 2007. Davanti a un bicchiere di vino rosso che ci ha spinti ad accogliere con entusiasmo l’idea buttata lì da Simona, quasi per gioco. Comprare una macchina, raggiungere il Mali via terra e una volta lì, rivenderla. Non certo per farci un business come succedeva all’epoca dei peugeottari, ma per vivere l’esperienza e recuperare l’investimento iniziale.
Detto fatto. Poche settimane dopo avevamo il mezzo di locomozione. Una Nissan Terrano II vecchia come il cucco con cui attraversare Francia, Spagna, Marocco e Mauritania. Qui la mission del viaggio prevedeva una tappa a una settantina di chilometri da Kiffa, nel sud del paese, per realizzare un progetto interculturale tra i bambini di una scuola elementare del nord Italia e quelli della scuola elementare di un villaggio remoto della Mauritania.

21 dicembre 2007
Una nottata gelida, la ricordo come se fosse ieri, e per noi quella era una grande impresa. Eravamo molto più giovani, tutti quanti. Ti dico solo che abbiamo fatto una tirata fino a Marrakesh concedendoci il lusso di trascorrere un’intera giornata a Barcellona. Il nostro obiettivo era la Mauritania per cui bisognava ottimizzare i tempi. Non so se ora ne avrei la forza… credo di si, salvo poi passare un’intera settimana in coma!

Milano-Bamako sola andata… spicchiamo il volo verso la Mauritania
Per tutti noi il viaggio, quello vero, inizia quando ci lasciamo alle spalle Marrakesh e spicchiamo il volo verso la Mauritania. Siamo fuori dalle rotte turistiche e ci attendono ore e ore di guida sotto il sole cocente e strade dimenticate da Dio. La compagnia è piacevole e i colori che ci accompagnano impressionanti. Un tajine per pranzo e una cena consumata ai baracchini lungo la strada a base di carne e pesce alla brace in compagnia dei locali che ci accolgono come marziani. Per ringraziarli dell’ospitalità li omaggiamo di una tazza fumante di caffè italiano ricambiata dall’immancabile tè. Un vero e proprio rito in questa zona dell’Africa. È il momento in cui, in mezzo al deserto, attorno ai carboni accesi su cui troneggia traballante la piccola teiera colorata, si raccontano storie cariche di mistero, senza alcuna conclusione logica, perché il pensiero è nomade come gli abitanti del Sahara e viaggia senza nessuna meta.
La vigilia di Natale la trascorriamo in mezzo al nulla, sotto un cielo carico di stelle, e stappiamo una bottiglia di spumante al ciglio di una strada che scorre all’infinito. Terminato il brindisi ci rimettiamo in marcia. Alla nostra destra l’oceano, a sinistra il deserto. La musica di Overland in sottofondo ci accompagna in quest’emozionante avventura.
Il timbro della Mauritania sul passaporto è il nostro regalo di Natale. Da bravi italiani che si rispettano festeggiamo la nascita di Gesù con una bella spaghettata nell’ostello di Nouakchott. A pancia piena optiamo per proseguire verso l’interno del paese e rimandare al ritorno la visita della caotica capitale mauritana.
La prima tappa ci conduce all’oasi di Azoughi, antica roccaforte almoravide situata a pochi chilometri dalla città di Atar, capoluogo della regione dell’Adrar. È davvero magico il deserto, irreale e difficile da descrivere e rievocare. Bisogna viverlo per poterlo capire e abbandonarsi senza paura alla magia di cui è intriso ogni singolo granello di sabbia.
La tappa seguente è Chinguetti, per molti secoli capitale religiosa e culturale dell’Islam e in lotta perenne contro l’insabbiamento e l’oblio. Due anime a confronto, la vecchia e la nuova, le conferiscono un certo fascino. Le abitazioni della parte vecchia si affacciano su un dedalo di stradine avviluppate attorno all’antica moschea e animate dai mercati delle donne. Una lingua di sabbia separa la parte vecchia da quella nuova, punto vitale dell’oasi. Il color albicocca del deserto fa da contrappunto al blu intenso e limpido del cielo. Il vento cancella inesorabile ogni segno, ogni traccia, ogni impronta, lasciando la sabbia intatta nella sua purezza. Assaporiamo un delizioso couscous di carne di cammello accompagnato dall’acqua purissima del pozzo, cui segue il tradizionale rito del tè. È tutto talmente dilatato che sembra sia passata un’eternità dalla nostra partenza. (Se ti interessa approfondire l’argomento leggi Tra dune e nomadi a Chinguetti.

Purtroppo il tempo non è nostro alleato e dopo una serata trascorsa in compagnia dei mauri bianchi ci rimettiamo in marcia alla volta dell’oasi di Terjit, un paradiso verdeggiante e rigoglioso situato in fondo a un canyon nel bel mezzo del Sahara. Lo scenario è a dir poco strepitoso. Falesie di roccia nera si oppongono a lingue di sabbia arancione contornate da palmeti, cascate d’acqua e rocce generanti rivoli di acqua calda curativa.
Lasciamo a malincuore questo Eden terreno per raggiungere Nouakchott, polverosa e caotica come tutte le città africane. Bancarelle a ogni angolo della strada, traffico di mezzi fatiscenti, clacson assordanti e sabbia ovunque. Decisamente troppo dopo tre giorni trascorsi in paradiso per cui riprendiamo il cammino verso sud. Per chilometri e chilometri non incrociamo altra forma di vita che non siano cammelli, capre o asini che procedono, solitari o in gruppo, osservandoci con un mix di curiosità e fastidio. Siamo ospiti indesiderati, quantomeno per loro…
All’altezza di Kiffa, in pieno Sahel, deviamo verso l’entroterra per la nostra ultima tappa in Mauritania. Un villaggio dal nome improbabile in cui trascorrere qualche giorno con i bambini della scuola. Il diavolo, si sa, fa le pentole ma non i coperchi. La nostra Nissan non è certo un fuoristrada ma nessuno di noi si è posto il problema prima. Quando iniziamo a slittare sulla sabbia a velocità sostenuta, capiamo finalmente di avere una bella gatta da pelare. È difficile mantenere il controllo del mezzo e la sensazione è quella di spiccare il volo. Un mix di adrenalina, preoccupazione e divertimento fino a quando le ruote sprofondano irrimediabilmente nella sabbia. Ci guardiamo sgomenti, senza sapere cosa fare.
Improvvisamente dal nulla, come per magia, spuntano tre giovani mauri neri con le vanghe in mano e ci tirano fuori dai guai. Poi, a gesti, ci invitano a seguirli al villaggio. Nessuno di loro parla francese ma la situazione è talmente surreale che decidiamo dove festeggiare l’arrivo dell’anno nuovo. Precisamente qui, in questo luogo sconosciuto al mondo, in compagnia dei suoi abitanti. Il capo villaggio, Moustapha, che sostiene di parlare francese solo perché inizia la frase con “moi… je…” per poi scivolare in una serie incomprensibile di versi e parole dal suono gutturale, ci indica dove piantare le tende. Un paio di ragazzini rastrellano un fazzoletto di terra dagli sterchi secchi degli animali. Il desiderio di trascorrere la notte in questo luogo dimenticato da Dio, tra deserto e falesia, con una popolazione che conta a dir tanto una trentina di abitanti, animali inclusi, è troppo forte e la nostra grottesca collocazione scivola in secondo piano.
Stiamo montando le tende quando Moustapha ci offre un vassoio di riso e fagioli accompagnato dall’immancabile te. È buio e siamo sfiniti ma attendiamo la mezzanotte per un brindisi al successo di quest’avventura. Il più insolito e straordinario capodanno che abbia mai vissuto in vita mia. In culo ai lupi, dove impera il nulla, in una dimensione spazio temporale che rompe tutti i nostri schemi mentali. Questo è l’ultimo grande dono di Mamma Africa…
All’alba Moustapha ci sveglia per andare a visitare le ricchezze della zona. Una lunga, interminabile scarpinata in mezzo alla falesia, raccogliendo bacche da gustare lungo il cammino e sostando sulle vette più alte per ammirare il panorama di dune rosse che si susseguono all’infinito. Dio esiste, penso dinanzi a un tale prodigio della natura. “Moi… toi… frère…”, sento farfugliare a Moustapha. Mi giro e lo vedo con indosso il piumino di Massi e un sorriso dipinto sul viso.
Dopo questa commovente scenetta rientriamo al villaggio dove ci attendono tutti davanti al pozzo. Gli animali si abbeverano, i cammelli riposano e gli uomini tirano su l’acqua per il tè e per il pranzo. A casa di Moustapha ci accoglie una bella ciotola di latte appena munto – ci giochiamo la sciolta immediata ma, con sorpresa, perdiamo la scommessa! – e riso con lenticchie.

Il resto della giornata scorre rilassato sulle stuoie a godere dell’atmosfera che ci avvolge morbidamente. La figlia di Moustapha setaccia il miglio per il couscous, la madre seduta a gambe incrociate recita il corano, i ragazzi chiacchierano in arabo mentre preparano il tè e i bambini ci guardano con occhi talmente espressivi da far vibrare le corde di qualsiasi strumento musicale. Dall’esterno giungono il cinguettio degli uccelli, il raglio degli asini, il muggito delle mucche… un momento talmente denso che il buio ci coglie di sorpresa intimandoci di rientrare nelle nostre tende.
È giunto il momento di riprendere la strada. Vista l’oggettiva impossibilità di realizzare l’aspetto umanitario della nostra mission, decidiamo di raggiungere Bamako e cercare in loco una scuola disagiata a cui distribuire il materiale scolastico. Carichiamo le macchine in silenzio. Nessuno di noi ha il coraggio di rompere l’incantesimo degli ultimi due giorni. Lasciamo dei pacchi pieni di coperte e vestiti destinati a una piccola ONG di Bamako. Qui ne faranno sicuramente buon uso.

È l’alba e siamo pronti a partire, senza salutare nessuno. Sarebbe troppo malinconico. Un brusio alle nostre spalle ci invita a voltarci. Tutti gli abitanti del villaggio stanno venendo verso di noi. Noi gli abbiamo regalato un pezzo di mondo, il nostro, e loro hanno fatto lo stesso con noi.
Non riesco a trattenere la commozione e corro verso di loro. Moustapha indossa il giubbino di Massi, mi gioco un centone che l’ha tenuto su tutta la notte! È il triste congedo a cui vigliaccamente volevamo sottrarci. Vigliaccamente ed egoisticamente. Per fortuna non ce l’hanno permesso e il ricordo della loro generosa ospitalità ci accompagnerà fino a Bamako!
Tutto è ben quel che finisce bene… a Bamako abbiamo reso felici i bambini di una scuola dei sobborghi!
Qui il video Come due gocce d’acqua realizzato dalla mia amica Simona, l’ideatrice del progetto
La Globetrotter
E tu che tipo di viaggiatore sei? Partiresti per un’avventura on the road? Se si, dove?
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Amica..ripartiamo!!!!che voglia..che nostalgia..che magia!!!!!!❤
Simo, a me ieri mi è venuta la pelle d’oca ripensando a tutta l’avventura! Vamos…
Che dire Diana? il tuo racconto di viaggio come sempre mi trasporta e sono lì con te, ti accompagno e vedo e vivo tutto attraverso i tuoi occhi e le tue parole.
Grazie! Choukran!
Choukran a te cara Antonella che con i tuoi commenti alimenti all’ennesima potenza la mia voglia di continuare…
Che magia, ti stimo Dià.
Wow… grazie mille Fra’! Un abbraccione
Ancora una volta leggo il tuo racconto di viaggio e mi ritrovo le tasche piene di sabbia!
Prima o poi dovrò lasciare che mi si riempiano anche le scarpe.
Ciao Diana! Complimenti
Ahahah questa è bella Andrea, davvero! Grazie mille per il complimento, lo ricambio per la tua meravigliosa ironia…
Leggo ora questo reportage di un viaggio di qualche anno fa.
D’altra parte è poco tempo che conosco Diana.
È un resoconto, ma che dico! Non è un resoconto è una narrazione stupenda.
Grazie
Ma grazie infinite cara Maurizia, non sai che gioia mi dai…