Quando sei in giro per il mondo, specialmente in un paese in via di sviluppo, ti chiedi mai come sarebbe stata la tua vita se fossi nato li? A me si, spesso, ed è per questo che ho voluto inaugurare il mio viaggio in Kenya con un bel soggiorno in casa di una famiglia di Mombasa. Per entrare subito dentro il paese e cercare di capire qualcosa di più di questo luogo così lontano da me. Ora, nella pace totale del mio rifugio a Diani Beach, mi accingo a raccontare qualche frammento di vita quotidiana in Kenya.
Quando ho postato su facebook le foto di questo viaggio, poche ore dopo il mio arrivo, varie persone mi hanno chiesto come e perché mi sono trovata a vivere questa situazione. Ebbene, qualche mese fa avevo parlato del couchsurfing, un network che consente di farsi ospitare a casa della gente e di vivere la loro quotidianità. Io lo uso da anni. Quando arrivo in un paese nuovo non amo trovarmi da sola, totalmente in balia di me stessa. Così da Milano ho contattato la famiglia di William ed Emily che vive all’estrema periferia di Mombasa, chiedendo ospitalità per un paio di giorni. Le recensioni di chi era passato da lì prima di me erano tutte ottime per cui mi sono lanciata a occhi chiusi.
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Ti dirò, l’impatto, come sempre in Africa, è stato forte.
Dall’accoglienza, estremamente calorosa, alla sistemazione, decisamente basic. Per noi, abituati ad avere tutto – e per tutto non mi riferisco a cose dell’altro mondo ma a cose ordinarie come la lavatrice, il frigorifero e la cucina a gas – arrivare in un posto in cui si prepara da mangiare sui carboni e l’acqua corrente è un optional non è certo una passeggiata. Tra l’altro, ci tengo a precisarlo, la famiglia di William non è una famiglia priva di risorse. Casa di proprietà, due splendidi bambini di nove e dodici anni iscritti entrambi a una scuola privata, cibo per tutti in quantità e, non ultime, tanta allegria e gentilezza.

Ebbene, appena giunta da loro, dopo un viaggio rocambolesco, mi hanno mostrato con orgoglio la mia alcova e offerto una doccia per togliermi di dosso la stanchezza. Hai mai sentito parlare della doccia all’africana? Quella che al posto del getto d’acqua prevede l’uso di una bacinella a cui attingere con un secchiello grande poco più di una tazza da tè? Onestamente non è una cosa che mi disturba, anzi, anche se dopo tante ore di viaggio non è proprio quello che uno si aspetta di trovare per sentirsi più pulito e meno stanco!
Tuttavia, è giusto dirlo, è stato proprio grazie alla doccia all’africana che ho imparato, anni fa, a chiudere il rubinetto quando mi insapono e riaprirlo solo al momento di sciacquarmi. In fin dei conti viaggiare non serve solo a vedere luoghi nuovi o a vivere nuove esperienze ma anche, e soprattutto, ad avere una visione più ampia di quel che accade attorno a noi per imparare a essere persone migliori. Non salverò il mondo riducendo il consumo dell’acqua ma quantomeno avrò dato il mio piccolo contributo alla salvaguardia del nostro pianeta.
A casa di William ed Emily la doccia all’africana si fa in bagno che non è altro che una latrina. In passato mi è andata meglio e i due spazi erano distinti e separati. Per carità, non morirò se per due giorni mi faccio la doccia con uno sciame di mosche che ronzano attorno ai miei piedi, ma il pensiero che tutto ciò sia parte della vita quotidiana in Kenya mi genera inevitabilmente considerazioni di natura filosofico-esistenziale sulla “bontà divina” che sembra essersi dimenticata di questo pezzo di mondo.
Non è mia intenzione offendere nessuno e se così è stato me ne scuso, ma fa male sapere che una buona fetta della popolazione mondiale vive come vivevano i nostri bisnonni, se non addirittura i nostri nonni, un secolo fa,

C’è da dire che per molti di loro questo non rappresenta un problema ma la normalità per cui direi di lasciare da parte le mie elucubrazioni mentali e continuare a raccontarti qualcosa della vita quotidiana in Kenya.
Il mio arrivo a Mombasa, coinciso con una giornata di festa, scorre via piacevolmente tra il via vai di gente e bambini curiosi che vengono a salutare la mzungu venuta da lontano. Eh già, in Africa Occidentale ero la toubab, qui sono una mzungu. Mi bastano pochi minuti per ricordarmi come, e perché, mi sono ammalata di mal d’Africa dodici anni fa.
I bambini, in questa terra tanto arida quanto generosa, hanno una luce negli occhi che ti scalda il cuore. Bambini che non hanno nulla e giocano per strade polverose con camion di cartone e copertoni di bicicletta sentendosi dei re. Bambini che non piangono mai. Cadono, si rialzano e riprendono a camminare. Il paragone con i bambini occidentali, spesso capricciosi e viziati, è immediato.
Esattamente dodici anni fa mi sono innamorata di questa terra e della sua gente così fiera, orgogliosa e lontana dall’immagine degli spettri ambulanti che ci troviamo di fronte ogni giorno sulle vie delle nostre città chiedendo l’elemosina. So di sfondare una porta aperta, ma trovarmi qui ora, a distanza di anni, è un po’ come tornare a casa dopo tanto tempo.
Nonostante il letto sia poco più di due travi inchiodate l’un l’altra e un materasso alto si e no una decina di centimetri, dormo profondamente come non mi accade da tempo.

Percepisco subito, al risveglio, l’assenza dei bambini che alle sei di mattina sono già sui banchi di scuola. William è al lavoro, Emily è piegata a fare il bucato da chissà quanto tempo e il chai è pronto che mi aspetta per la colazione. Lo accompagniamo con un paio di samosa a testa – lo so che siamo in Africa ma la costa kenyota subisce fortemente l’influenza indiana – e ci prepariamo per andare al mercato a fare la spesa. Mi basta dire a Emily che ho voglia di chapati perché lei decida cosa si mangerà per cena. Mi offro di aiutarla e lei mi sorride calorosamente con una punta di sano sarcasmo.
Torniamo a casa con l’essenziale per la giornata e mentre sorseggio il secondo chai della mattina parte la riflessione di turno. In assenza di frigorifero in cui conservare gli alimenti, la spesa si fa giorno per giorno, a differenza della maggior parte di noi che si reca al supermercato una volta ogni x giorni e compra di tutto e di più!
Che male c’è? – ti chiederai. C’è che spesso e volentieri riempiamo i nostri carrelli senza prestare attenzione alla scadenza e qualcosa, vuoi o non vuoi, finisce in spazzatura. Ora, personalmente ci sto molto attenta (buttare via cibo quando i due terzi della popolazione mondiale – e non solo nei paesi in via di sviluppo ma anche all’angolo di casa nostra – non ha nulla da mangiare è un sacrilegio), ma se ti dicessi che non mi è mai successo sarei un’ipocrita. Grazie Africa per quest’ennesima lezione di vita!
Lo so, sono partita per la tangente e ho perso di vista il focus di questo post, regalarti qualche frammento di vita quotidiana in Africa. Chiedo venia…
Tornando ai nostri chapati, non avevo idea che la preparazione richiedesse tanto tempo. D’altronde, in un posto dove manca la cucina non possiamo certo aspettarci un piano di lavoro adeguato. Per farla breve, trascorriamo circa tre ore sedute su uno sgabellino con la schiena curva a impastare, stendere, ungere e friggere. La temperatura, dentro casa, oscilla tra i trenta e i trentacinque gradi centigradi, ma l’immagine dei bambini che a detta di Emily faranno i salti di gioia quando torneranno da scuola e troveranno una valanga di chapati da accompagnare al pojo – legume tipico che si consuma in Kenya – mi dà la forza per non lamentarmi, A te però posso dirlo, ho la schiena a pezzi!
Ancora una volta, le difficoltà della vita quotidiana in Kenya mi colpiscono ma solo di sbieco. Per me sono momenti, esperienze di cui fare tesoro una volta tornata a casa, alla mia vita di agi e comodità.
In tutto questo, anche la giornata di oggi scorre piacevolmente tra il via vai continuo di gente in visita a Emily che si sorprende nel trovarmi li a lavorare come una di loro, ma che non mi tratta come un’estranea, anzi. Sono tutti smaniosi di insegnarmi a parlare swahili, lingua che trovo piuttosto complicata da memorizzare, e di sapere cosa penso di questo pezzo di mondo.
Bella domanda! Ho scelto di visitare il Kenya spinta dalla smania di fare un safari ma non mi aspettavo troppo dalla gente. Odio i luoghi turistici in cui ti vedono prima come un pollo da spennare e poi come una persona. Probabilmente sarà così, finora del Kenya non ho visto nulla, ho condiviso solo un paio di giorni con questa famiglia che mi ha aperto le porte di casa come se fossi una di loro.
Una casa e una famiglia dove entrare senza bussare è un’abitudine e dove un piatto per il nuovo arrivato non manca mai, uomo o donna, bianco o nero, bambino o anziano che sia. Resto sempre basita dalla generosità di questa gente, quella che vive al di fuori dei circuiti turistici, e che oltre al mzoungu o al toubab che c’è in te, vede il figlio, l’amico e il fratello.
Il pensiero corre ancora una volta a noi, a come siamo diventati freddi e diffidenti nei confronti dell’altro, a quanto siamo chiusi nei nostri piccoli mondi, a come siamo abituati a difendere la nostra privacy con le unghie e con i denti e a tutte le belle occasioni che ci lasciamo sfuggire ogni giorno.
Certo, pensare di vivere la mia vita in Africa non rientra tra le esperienze che muoio dalla voglia di fare, quantomeno non nel futuro immediato, ma stare a stretto contatto con loro e vivere la quotidianità in Kenya, anche solo per un paio di giorni, mi ha regalato il sapore della semplicità e credimi, è un sapore che non voglio assolutamente dimenticare!

La Globetrotter
Sei stato in Kenya? Com’è stata la tua esperienza? Ti aspetto nei commenti.
Il 24 settembre 2020 è uscito il mio libro Sulle strade del Kenya. Una mzungu tra le contraddizioni dell’Africa, ispirato a questo viaggio ed edito da Alpine Studio. Lo trovi in libreria, sui principali portali di vendita online e su AMAZON.
Se cerchi spunti per organizzare un viaggio nella terra dei Masai, leggi il mio post KENYA: ITINERARIO E CONSIGLI UTILI PER UN VIAGGIO FAI DA TE, oppure clicca QUI per tutti i racconti on the road.
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Bella esperienza e bel racconto!
Grazie amica mia!
Quando ti leggo è come se stessi sognando di essere proprio nei tuoi panni, ed è una sensazione meravigliosa che solo tu sai dare. :*
Grazie Futura! Quando spiccherai il volo anche tu saprai trasmettere le stesse emozioni, ne sono sicura…
Ciao Diana! Esperienza forte ma vitale, resa molto bene nel tuo post. Il confronto con tutte le nostre comodità è davvero impressionante. Sono cose che astrattamente ”si sanno” ma poi com’è come non è di fatto le dimentichiamo. Non vorrei sconfinare nella retorica, ma non sarebbe male se tutti iniziassimo le giornate con maggiore gratitudine… e magari cercando anche di recuperare un po’ di semplicità. O almeno di educazione! Noi viviamo a Roma, e negli ultimi anni sono palpabili abbrutimento e aggressività. Grazie per questi frammenti! Buona giornata, Simona
Grazie a te Simona che oltre a esserti presa il tempo di seguirmi nei miei deliri esistenziali, e condividerli, ti sei presa anche il tempo di commentare… Concordo in pieno con te, inutile che te lo dica… Un abbraccio
Grande Diana! Belle riflessioni, le condivido molto.
Nei tuoi racconti descrivi spesso di come ti immergi nella realtà delle persone che incontri. Poca patina, molta umanità. Vita vera. La stesa che a me piace andare a cercare nel mio gironzolare per l’Italia. Una dimensione certamente più facile, ma non priva di possibilità di scoperte che stupiscono.
Lo scrivo perché a leggerti mi son venute in mente. Sono associazioni, cooperative nate da associazioni di persone che praticano la condivisione del sapere, del fare, del vivere momenti in cui si apprende e si insegna, ci si diverte e si riflette anche. In poche parole: si vive insieme agli altri. Sono luoghi dove incontrare gente, fare cose per se stessi e per gli altri. E quando le incontro è sempre uno stupore per la fantasia, la bellezza e l’accoglienza che trovo.
Un giorno, proprio grazie a te, andrò a cercarle anche al di fuori dell’Italia
Complimenti Diana! un abbraccio!
Ciao Andrea, grazie mille! I tuoi commenti sono sempre.molto sentiti e spontanei, linfa vitale x me… chissà che un giorno non si vada assieme a cercare tutto ciò! X il momento ti abbraccio forte…
Ciao carissima ‘mzoungu’!
Ancora un racconto bellissimo e coinvolgente come solo tu sai fare! Anche senza paesaggi strepitosi e resort da favola hai offerto un quadro delizioso di questa terra e ancor di più della gente fantastica che stai incontrando.
Grazie !
Grazie Joe, sai sempre scrivere le parole giuste per farmi sentire bene. Un abbraccio
Brava brava brava. Hai descritto esattamente la situazione del Kenya. I Beach Boys sono la rovina di quei posti.
Ho descritto semplicemente quello che ho vissuto e percepito… ma grazie!
E doveva andar fin li?
In che senso? Per imparare certe cose ovvie tipo non sprecare acqua e cibo?
Ha mai visto la serie francese… a casa di… e ogni puntata è una nazione diversa?
Si ne avevo vista qualcuna anni fa… l’ho trovata molto carina, perché?