Nel viaggio in India di dieci anni fa che all’epoca mi aveva turbata non poco, seguendo un itinerario privo di senso logico e più volte modificato lungo il cammino sono finita in un luogo che molti conoscono, se non di fatto quantomeno di nome e per quel che rappresenta. Sto parlando dei templi erotici del complesso di Khajuraho, nel Madhya Pradesh, una delle poche tappe del viaggio che mi ha dato piacere allo stato puro.

Per me il viaggio in India è stato duro, non ho problemi ad ammetterlo: sarà che ero nel pieno di una relazione turbolenta e reduce da un intervento chirurgico importante, ma non ero assolutamente pronta e per la prima volta in tutta la mia carriera di Globetrotter ho desiderato essere ovunque fuorché li. Ora come ora, ne sono certa, l’affronterei con uno spirito diverso.

Il complesso di Khajuraho

Khajuraho, il cui nome deriva dalla parola hindi Khajur che significa palma da datteri, è una delle attrazioni principali dell’India e deve la sua celebrità al complesso di templi intrisi di erotismo edificati sotto il regno dei Chandela – tra il 950 e il 1050 d.C. – e ritenuti oggi la punta di diamante dell’architettura medievale indiana.

Degli ottantacinque templi di Khajuraho, consacrati al culto induista e jainista e disposti su un’area di ventuno chilometri quadrati, oggi ne restano solo ventidue su cui sono scolpite – oltre a scene ascrivibili alla vita tradizionale e alla mitologia indiana di mille anni fa – alcune posture tantriche ispirate dal Kama Sutra.

alt="Complesso di Khajuraho"
Complesso di Khajuraho

I templi del complesso di Khajuraho, riscoperti dai britannici alla fine del XIX secolo e iscritti nelle liste del Patrimonio UNESCO dal 1986, sono costituiti da un corpus centrale con quattro santuari agli angoli e si sviluppano in verticale grazie a una serie di guglie che fungono da base per quella principale del tempio centrale, richiamando la forma dei picchi himalayani.

Secondo alcuni studiosi la posizione delle sculture erotiche – presenti solo sulle pareti esterne – sarebbe da attribuire al fatto che per giungere al cospetto della divinità sia necessario lasciare le proprie pulsioni fuori dal tempio e fungerebbe quindi da cancello simbolico per raggiungere Dio.

Se sia vero o meno non so dirlo ma di certo c’è che le sculture erotiche di Khajuraho, raffigurando amanti in ogni genere di atto sessuale, lasciano libero spazio alle fantasie libidinose che gli hindu ritenevano del tutto legittime, prive di qualsiasi nesso con il peccato e la colpa come spesso le viviamo noi occidentali.

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Dettaglio di uno dei templi di Khajuraho

Insomma, un bell’excursus in un altro spazio, un altro tempo, un’altra cultura e, indubbiamente, un’altra vita…

La Globetrotter

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