Nutro una profonda stima, e anche una punta d’invidia, verso quelle persone capaci di sacrificare parte del loro tempo e della loro vita a favore del prossimo e visto che sono l’editrice di me stessa e che non ho nessuno, lettori esclusi, a cui rendere conto del mio operato, oggi ho deciso di raccontare una storia che non mi appartiene se non di riflesso. La storia di Erika e Simona e dell’associazione beninese Ensemble pour grandir, una realtà che ho conosciuto personalmente nel 2010 e che, a distanza di anni, in un modo o nell’altro sempre torna.

Erika e Simona le conosco da anni, quindici per la precisione, quando ancora i bambini e le donne di Ensemble pour grandir erano un’entità pressoché astratta per tutte noi. Due grandi viaggiatrici con il trip dell’Africa che le ha portate, nell’estate del 2009, a scegliere il Benin come meta di un viaggio. Cosa le abbia spinte verso l’antico regno del Dahomey non so dirlo, fatto sta che cercando sul web informazioni utili all’organizzazione di un viaggio fai da te, si sono imbattute nell’associazione, con sede a Ouidah, e l’hanno inserita come must nel loro itinerario.

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Ensemble pour grandir, una storia tutta al femminile

E così, cariche di entusiasmo e adrenalina, si sono avviate alla volta del Benin ignare di quanto forte sarebbe stato l’impatto, per entrambe. Talmente forte che, al rientro, ne hanno fatto una vera e propria mission. Sono partite quasi dal nulla e senza grandi pretese se non quella di dare il loro piccolo contributo alla causa delle donne e dei bambini di Ensemble pour grandir. Poi, come sempre accade quando si ama qualcosa e si crede in quel qualcosa, hanno travolto tutti noi con il loro entusiasmo e il sostegno si è allargato a macchia d’olio. Esattamente quattro mesi dopo una bella cerchia di amici – chi in macchina, chi in aereo, chi con i mezzi pubblici – è confluita a Ouidah.

Era gennaio del 2010, lo ricordo come se fosse ieri. Io arrivavo da nord con quattro compagni di avventure a bordo di un Seven Place. Il Benin è uno degli stati più poveri di tutta l’Africa e tra le tante cose che non funzionano ci sono le condizioni del manto stradale – a meno che non siano migliorate negli ultimi anni, ma ne dubito fortemente – appesantite dal caldo torrido e soffocante. Quando finalmente siamo giunti a Ouidah, eravamo ridotti a dei colabrodo.

Erika e Simona erano lì, ad attenderci, attorniate da un gruppo di donne e una valanga di mocciosi di ogni età, forma e dimensione. Ti dirò, io non ho un debole per i bambini. Mi piacciono per qualche ora ma poi sono ben contenta di chiudere la porta di casa e levarmeli di torno. Diciamo che non ho la pazienza per stargli dietro. Detto questo, per i bambini africani, non so perché, ho un debole. Quella luce che gli pulsa negli occhi quando ridono sdentati è qualcosa a cui non riesco a resistere. Sta di fatto che, ancora una volta, l’idea di trascorrere a Ouidah giusto qualche giorno per assistere al Festival del Vodù e poi riprendere il cammino è andata a farsi benedire. Per un motivo o per l’altro, infatti, mi sono ritrovata più volte a tornare nel posto che in quel momento mi rendeva felice.

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Erika e Simona, dopo il festival, avevano fatto rientro alla base ma in pochissimi mesi erano riuscite a dare alle donne e ai bambini di Ensemble pour grandir la possibilità di stare in piedi da soli. Certo, l’associazione esisteva prima di loro e probabilmente avrebbe continuato a esistere ugualmente. Diciamo che, lavorando in team, due donne italiane – due grandi donne, se me lo consenti – e un gruppo di donne beninesi hanno dato vita a qualcosa di assolutamente incredibile.

Uno dei momenti più intensi dei giorni vissuti con le donne e i bambini di Ensemble pour grandir è stata la mia festa di laurea. Un sorpresone! Ricordo che quel giorno ero fuori di me. Non appena mi avvicinavo a qualche bambino intervenivano le streghe delle mie amiche – in quel momento le vedevo così – e mi spedivano a fare qualche commissione. A un certo punto ho sbottato. “Ma ci sono solo io disponibile in questa casa? Non potete chiedere a Ivan o a Cetto?” – e mi sono avviata per l’ennesima volta verso l’uscita con l’intenzione, al mio ritorno, di fare un cazziatone a entrambe. Ero davvero indispettita.

Quando poi sono rientrata e ho trovato il cortile deserto stavo dando di matto. L’arrivo del piccolo Abbasse mi ha raddolcita. Finalmente potevo prenderlo tra le braccia e spupazzarmelo a dovere. Lui, da vero galantuomo, mi ha invitata a seguirlo prendendomi per mano. Non ho fatto in tempo a voltare l’angolo che sono stata investita da voci, canti, gioia, braccine che si sporgevano verso di me, stelline scintillanti e scoppiettanti e chi più ne ha,, più ne metta. Tutto quel trambusto ha coperto le mie lacrime e ho finalmente capito il senso dell’espressione “piangere di gioia”. Una gioia che le donne e i bambini di Ensemble pour grandir, nella loro disgrazia di persone rinnegate e abbandonate a se stesse, mi hanno iniettato in vena come eroina pura.

I bambini di Ensemble pour grandir a Ouidah
I bambini di Ensemble pour grandir a Ouidah

Quello del 2010 è stato il mio ultimo viaggio in Africa Occidentale. Dopo cinque anni peregrinando da quelle parti sentivo il desiderio di esplorare altri lidi ed è iniziata l’avventura in America Latina.

Ora, a distanza di anni, è giunto il momento di tornare. Come una goccia che batte nello stesso punto scolpendo la pietra e segnandola indelebilmente, così l’Africa ha fatto con me. Mi sono piovuti addosso tanti di quei momenti straordinari a contatto con la gente che sono ancora li, tatuati nell’animo.

Erika e Simona l’hanno capito prima di me. Probabilmente l’hanno capito quando, nell’ormai lontano 2009, hanno trovato lungo la strada un gruppo di donne africane che anziché piangersi addosso e recitare a memoria il copione scritto per loro hanno deciso di rimboccarsi le maniche e lottare. Per se stesse e per tutti i bambini che, a parte loro, non hanno nessuno. Grandi donne che si sono incontrate, si sono prese per mano e hanno iniziato a camminare insieme, una accanto all’altra.

Oggi le donne lavorano al Palais de l’Igname Filé, un ristorante locale che serve cucina tipica, e tutti i minori sono scolarizzati. Sembra cosa da poco ma non lo è, credimi, ed è la ragione che mi ha spinta a scrivere di loro con un ringraziamento speciale a Erika, Simona e a tutte le persone che si prodigano ogni giorno per dare ai più sfortunati la possibilità di un futuro diverso.

Le vivo da anni entrambe, con una certa frequenza, e tasto con mano quasi quotidianamente l’impegno e l’amore che mettono in quello che fanno. Buyer, scrittrice e vulcanica la prima; madre, casalinga ed equilibrata la seconda. Due persone agli antipodi che hanno trovato in Ensemble pour grandir il loro trait-d’union. Sempre in fermento, in attività, alle prese con nuovi progetti. E fidati, non lo dico per sentito dire, è molto più facile fare una donazione, per quanto ingente sia, che essere lì, in prima linea, a impegnarsi perché il sogno diventi realtà.

I bambini di Ensemble pour grandir

Per inciso, visto che l’ho accennato prima, Erika scrive divinamente e non lo dico da amica ma da lettrice. Non a caso negli ultimi anni ha vinto vari premi letterari. Sicuramente l’avrai già intuito ma i diritti d’autore dei suoi libri, che non parlano di viaggi, sono interamente devoluti alla causa.

Io, che pure ogni tanto qualcosa di buono per gli altri credo di farlo, di fronte a persone così mi sento piccola come un granello di sabbia.

La Globetrotter

Se ti interessa sapere qualcosa di più sui bambini e le donne di Ensemble pour grandir puoi contattare Erika e Simona sulla pagina facebook dell’associazione.

Se vuoi leggere o regalare i libri di Erika, sapendo che darai il tuo contributo per una buona causa, visita il suo sito, www.erikarigamonti.it

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6 pensieri su “Ensemble pour grandir, una storia tutta al femminile

  1. Erika Rigamonti dice:

    Cara Diana, grazie di questo splendido articolo. Allora hai finalmente deciso… torni a trovarci a Natale ? Sarebbe fantastico!!!!

    • Diana dice:

      Susso, non ho ancora deciso! Tornerò in Africa e sto pensando seriamente al Benin ma un passo alla volta, prima c’è lo Sri Lanka…

  2. Simona Bestetti dice:

    Amica mia, grazie di cuore!!E’ magnifico! L’impegno e la fatica di ogni giorno son ripagati anche da scritti come questo. Edddaiiiiiiiiiiii….e Benin sia 🙂

  3. Michele dice:

    Grande articolo me l’avevo perso…..poi ho visto che ce ne sono anche altri che non ho ancora letto…..grande diana speciale

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