“D’una città non godi le sette o settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda.”
Le città invisibili – Italo Calvino
I miei due giorni a Yangon
Perché ho scelto di raccontare l’esperienza dei miei due giorni a Yangon partendo da una citazione? Forse perché, fatta eccezione per la Shwedagon Pagoda, Yangon non ha niente di speciale da raccontare se non lo scorrere della vita quotidiana.
Che poi, a ben vedere, è una cosa che faccio spesso quella di perdermi per la città percorrendola come un cane sciolto e fiutando qua e là quel che più mi incuriosisce. Per me la conoscenza di un paese passa attraverso la sua gente, veicolo per eccellenza della cultura popolare, e in una città come Yangon – cuore pulsante di un paese che dall’apertura delle frontiere attira investitori da tutto il mondo in attesa di affondare gli artigli sulla loro preda – mi aspetto di trovare grandi cose.
Sarà per questo che la gentilezza e la disponibilità dei locali che camminano per le strade con il sorriso stampato in faccia come un francobollo mi sorprende non poco. Tutti dicono che i birmani sono una popolazione splendida ma a me, personalmente, tutti questi sorrisini e salamelecchi convincono poco. Non so come la vedete voi ma se io avessi passato quello che hanno passato loro sarei abbastanza incazzata! Credo non ci sia nulla di peggio dell’essere privati della libertà e 50 anni di dittatura non si cancellano certo con un colpo di spugna…
Tuttavia, considerato che “non tutto il mondo è paese” ed essendo tutto nuovo per me qui a Yangon, non pretendo di riuscire a entrare nel vivo della vita birmana e mi accontento, per una volta, di respirarne l’aria tentando, per quanto possibile, di riempirmene i polmoni.
E così la mattina di buon’ora mi avvio per le strade di questa città caotica e congestionata dal traffico lasciandomi semplicemente trasportare dal flusso di gente che mi conduce da un mercato all’altro, tutti caratterizzati dall’esplosione dei colori di frutti a me ignoti, fino ad approdare a chinatown, il luogo per eccellenza dove provare lo streetfood o sorseggiare un tchai appollaiati su uno sgabellino di plastica a ridosso della strada.
Il mio unico rammarico è quello di dovermi limitare a osservare senza poter interagire con la gente. La comunicazione, purtroppo, è pressoché inesistente ed è un grosso limite. So che in un modo o nell’altro le mie domande avranno delle risposte ma un conto è leggerle sulla carta stampata, un conto è sentirsele raccontare.
Vorrei sapere, ad esempio, come vivono loro questo momento di transizione, come vedono il turista, cosa si aspettano dal futuro. Mi piacerebbe sapere anche perché vendono libri contraffatti, se per praticità ed economicità o se si tratta di una pratica usata sotto il regime che è poi diventata consuetudine, e cos’è quella cosa rossa simile a sangue che masticano in continuazione e che poi sputano a terra. Sono catapultata in un mondo e un’epoca che non mi appartengono e la curiosità mi divora ma non credo che in soli due giorni a Yangon troverò le risposte che cerco. Che poi, a volte, le risposte arrivano da sole senza bisogno di affannarsi tanto. Concludo la mia giornata inebriandomi di spiritualità alla Shwedagon Pagoda! Mi inebrio talmente tanto che rischio di tornare a casa scalza…

Il secondo giorno a Yangon decido di lasciarmi alle spalle il caos e la confusione metropolitana con una gita fuori porta che mi regali un paesaggio più rurale. Non devo nemmeno spingermi tanto lontano: è sufficiente attraversare il fiume per conoscere un’altra Birmania. Quanto meno, così mi è stato detto.
A fatica raggiungo il molo e traghetto sull’altra riva in un villaggio di cui, ahimé, non ricordo il nome. Fermo subito un trishaw che mastica un po’ d’inglese per farmi portare a spasso un paio d’ore. Il prezzo è irrisorio e non mi prendo nemmeno la briga di mercanteggiare. Il solleone e l’afa si fanno sempre più incalzanti anche se l’atmosfera bucolica di questo villaggio rende tutto più accettabile
Rispetto alla caotica Yangon sembra di essere in paradiso. Stradine in terra battuta su cui circolare a piedi all’ombra di un parasole che si snodano nella ricca e folta vegetazione circostante. Vorrei una birra ghiacciata ma mi chiedo se in Paradiso sanno cosa sia la birra. Ebbene sì, lo sanno eccome! L’amico del trishaw deve avermi letto nel pensiero perché improvvisamente si ferma davanti a qualcosa che ha l’aria simile a un bar e mi prega di scendere. La clientela è unicamente maschile e mi sento decisamente a disagio per cui invito il mio nuovo amico a tenermi compagnia. È stato di una gentilezza squisita, rifletto mentre osservo il suo sorriso sdentato e l’esile corpo avvolto nel lonhyi, l’abito tradizionale birmano. Gli lascerò sicuramente la mancia, pensò mentre pago le birre e mi appresto a risalire sul mezzo.
Sulla via del ritorno percepisco qualcosa di strano nel suo atteggiamento, come un nuvolone che all’improvviso oscura il ciel sereno. Gli chiedo se c’è qualcosa che non va e lui inizia a raccontarmi nel suo inglese elementare della madre in punto di morte che non ha i soldi per curare. Ben venga la mancia, penso tra me e me mentre lo ascolto parlare. Mi ha chiesto 6.500 kyat, poco più di 5 dollari, per due ore abbondanti di passeggiata sotto il sole assassino ma gliene lascerò 10.000. Mi sembra equo. Non gli cambierà la vita ma non la cambierà nemmeno a me. Del resto, mica li faccio io i prezzi…
Giunti all’imbarco dei traghetti, scendo dal trishaw e gli allungo i 10.000 kyat. Lui mi guarda con un’espressione agguerrita e inizia ad alzare il tono della voce mugugnando qualcosa nella sua lingua natale. Il molo è gremito di gente che si volta a guardarmi senza alcuna empatia ma con il sorriso tatuato sul volto. Non capisco proprio cosa voglia da me, forse da queste parti la mancia non è vista di buon occhio penso ingenuamente mentre mi maledico per non essermi informata prima al riguardo. Cerco di comunicare con lui ma a quanto pare il ragazzo ha dimenticato quel poco di inglese che sapeva…
Mi sento la vittima di un film fantozziano e inizio a innervosirmi. La gente si avvicina incuriosita e mi fissa guardinga. Mi sento terribilmente a disagio… fino a quando interviene uno che mi spiega, misericordioso, il misunderstanding. Il prezzo della passeggiata era di 6.500 kyat all’ora e visto che abbiamo superato le due ore gliene devo dare 18.000. Sono basita! Al di là del fatto che le due ore le abbiamo superate con la pausa birra, gradita sì ma non richiesta espressamente… un voltafaccia simile non l’avevo mai visto da nessuna parte! E non si può certo dire che sia una viaggiatrice novella! Lui continua a inveirmi contro in birmano, io non capisco una parola ma dal tono della sua voce percepisco una sorta di rivendicazione. Non ho né il tempo né la voglia di mettermi a discutere con lui per cui gli tiro addosso i 18.000 kyat – che riceve con un sogghigno – e me ne vado senza nemmeno salutare.
Salgo sul traghetto con un misto di rabbia e delusione. Non ho voglia di rovinarmi il viaggio né di partire prevenuta nei confronti di un popolo di cui tutti decantano la gentilezza e l’onestà. Sono cose che accadono, mi dico cercando di calmarmi anche se, inevitabilmente, mi chiedo quanto sia vera la storia della madre in fin di vita…
La Globetrotter
E a te è mai capitato di essere imbrogliato in viaggio solo perché turista? Qual è stata la tua reazione? Come ti sei sentito?
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Ma che stronzetto sto uomo! Magari se avesse spiegato il tutto con gentilezza, i soldi uno glieli avrebbe anche dati senza fare storie…
A me era capitata una cosa simile in Messico, quando con un mio collega abbiamo dovuto prendere un taxi per andare in un villaggio fuori Puebla: il taxista, gentilissimo, accetta la corsa e concordiamo un prezzo. Al ritorno viene fuori che la cifra pattuita OVVIAMENTE era da intendersi solo per il viaggio di andata e che quindi avremmo dovuto pagare il doppio. Alla fine gli abbiamo dato i soldi, tanto cosa ci puoi fare?
Rabbia e delusione sono parole che descrivono benissimo i sentimenti che ho provato. E purtroppo episodi del genere possono contribuire a rovinare l’idea che uno ha di un paese.
Infatti Silvia… purtroppo in certi paesi la gente pensa che il turista/viaggiatore raaccolga i soldi dall’albero! Sembra non si rendano.conto che facciamo i.nostri sacrifici ogni.giorno per andare a conoscere la loro cultura e credo che nemmeno capiscano realmente il senso del.viaggio! Comunque sia… si digerisce il boccone amaro e si va avanti… un abbraccio e buona serata.
Ciao Diana, finalmente ho letto il tuo racconto, certamente è stata una esperienza deludente e molto spiacevole…A nessuno piace essere raggirati, specialmente, quando speri di trascorrere del tempo godendoti il posto e “vivendo” un po’ le persone locali…..Sicuramente la Birmania non è solo questo……Ti abbraccio
Sicuramente Rita concordo con te… purtroppo si sa sono cose che possono succedere ovunque ma erano parecchi anni che non incappavo in situazioni simili (credo dall’India nel 2009) e la delusione è stata pesante da digerire! Un abbraccio
Essere truffato in viaggio capita a tutti è capitato anche a me, ma ogni mondo è paese la Birmania non fa eccezione. Su cosa masticava e poi sputano mi è capitato in India, dove un arzillo tassista di anni 80 lo faceva in continuazione e io basito e con schifo lo osservavo. Cosa masticava? Qui subentra la mia truffa colossale, l’interprete che mi dice che sono foglie di coca di colore rosso, ora capisco l’essere così arzilli a 80 anni. Veniamo alla truffa:pattuito il compensodi 5 milioni per un numero di giorni indefinito(come può immaginare) mi ritrovo al 20 giorno con la stronza che diventa inreperibile lasciandomi in un mare di guai come se non ne avessi già abbastanza. Ora mi viene facile e sorridere, ma credimi e stato un incubo……. Felice inizio settimana
Immagino, io poi so tutta la storia per cui, al di là dei soldi che all’epoca non erano pochi, c’è pure l’aspetto emotivo che gioca un ruolo non indifferente! Spero tu stia bene, buona settimana anche a te!
E’ una delle poche truffe che fanno in Birmania, il posto in cui sei stata si chiama Dalah, non sei stata l’unica, io volevo andarci perché essendo fotografo ho letto come hai scritto tu che è molto suggestivo per scattare foto ma informandomi bene sul luogo ho trovato nelle recensioni di tripadvisor (della compagnia dei traghetti) tanti commenti negativi come i tuoi su questo luogo
Considerando che ci sono stata nel 2013… direi che il lupo perde il pelo ma non il vizio! Grazie dell’informazione…