Forse mi considererai incoerente e incapace di portare a termine ciò che mi propongo, io preferisco definirmi uno spirito libero che cerca di vivere il più possibile all’insegna dell’edonismo e del piacere interiore senza doversi necessariamente imporre cose che non sente fino in fondo. Ritengo inoltre che ci sia un tempo per ogni cosa e che come cambio io, cambia il mondo attorno a me e quel che era cinque anni fa, oggi può non essere più. Perché dico questo? Perché uno dei must di questo viaggio era trascorrere un periodo nell’Amazzonia peruviana insieme a don Luis, lo sciamano con cui, nel 2015, avevo preso l’ayahuasca per la seconda volta.
Se non la conosci, l’ayahuasca è una pianta utilizzata nella selva a scopo terapeutico che aiuta a pulire il corpo e lo spirito, un viaggio dentro te stesso tra passato, presente e futuro che ti connette con la natura e la Madre Terra. Questo riassunto in poche parole, non me ne vogliano gli esperti di settore se semplifico e forse banalizzo un po’ i poteri e la forza della pianta.
Comunque sia all’epoca, quando giunsi da don Luis, ricordo che c’erano altre persone che erano lì per un tempo più o meno lungo a dietar. Cosa significa dietar? Significa purificare il corpo per poter viaggiare più fluidamente nello spirito grazie, nel caso di specie, all’ayahuasca. Questo perché in realtà si può dietar anche con altre piante ma non mastico la materia per cui non aggiungo altro, fatto sta che la cosa mi aveva incuriosita parecchio e mi ero ripromessa, un giorno o l’altro, di tornare da don Luis e fare l’esperienza completa: quindici giorni nella selva a stretto contatto con me stessa e con la natura.

E così, quando quest’anno ho deciso di partire per il Perù e fissare il focus del viaggio sull’Amazzonia peruviana e colombiana, non ho esitato a contattare don Luis per dirgli che avrei passato un periodo di tempo da lui. Si es lo que quiere su corazón, está bien – mi ha risposto semplicemente. È un uomo di poche parole ma meglio chi parla poco che chi parla a vanvera.
Per farla breve, prendo un volo da Cusco a Iquitos e dopo una giornata di decompressione vista la notte trascorsa all’aeroporto di Lima per attendere la connessione, incontro don Luis nella Plaza de Armas che mi porta fino al porto e da lì mi imbarco per Picuru Yacu, a venti minuti circa dalla città. Lui ora vive a Iquitos con la famiglia, mi racconta sul mototaxi diretto al porto, e va nella selva tre volte alla settimana per le cerimonie con l’ayahuasca.
Non ho dubbi che la sua vita abbia svoltato, penso mentre sono sulla lancia. Quando sono stata da lui nel 2015 chiedeva 90 soles a cerimonia che era il corrispettivo di 30 dollari e che rispetto ai prezzi che circolavano in giro era più che onesto anche se, a dirla tutta, lo sciamano nasce come figura di riferimento per la comunità e non dovrebbe chiedere soldi ma ricevere un’offerta, secondo le possibilità del richiedente. Ora, cinque anni dopo, una sessione di ayahuasca costa 150 soles a cui se ne aggiungono altri 60 per il pernottamento e la dieta. Se pensi che un pasto completo in Perù costa mediamente tra i 5 e i 10 soles, è facile capire come ora non solo viva a Iquitos ma si possa permettere anche di fare tranquillamente le vacanze in Europa.
Sia chiaro, la mia non vuole essere una critica ma una semplice constatazione di come cambiano le cose. In ogni caso ritengo che esperienze di questo genere non siano da prendere alla leggera e vadano fatte con una persona di fiducia per cui, visto che era una cosa che desideravo fare da tempo, ho sorvolato sull’aspetto economico convinta che ne avrei tratto grandi benefici. Come si suol dire, i soldi vanno e vengono e se non li usiamo per realizzare i sogni, cosa lavoriamo a fare?
Giungo al porto di Picuru Yacu e da li, con un moto taxi, raggiungo il sentiero che conduce alla casa di don Luis. Lo riconosco subito e lo imbocco con un mix di emozione e adrenalina. Sono una ventina di minuti a piedi e la volta scorsa mi aveva colta la pioggia giusto nel mezzo il che, credimi, non è affatto piacevole. Quando nella selva piove sembra si scatenino i peggiori demoni e il rischio di scivolare e farsi male, specialmente per chi non è avvezzo, è assolutamente concreto. Guardo il cielo che anche stavolta non promette nulla di buono e accelero l’andatura fino a quando non intravedo i panni stesi ad asciugare e la casa di don Luis sullo sfondo.

Busso alla porta e dall’amaca scende un ragazzo che si presenta come il genero dello sciamano. Uno dei tanti, visto che ha nove figli e quattordici nipoti. La cosa mi fa un po’ ridere. Tecnicamente quando ti avvicini all’ayahuasca dovresti essere il più puro possibile il che presuppone assenza totale di alcol, droghe, carne (specialmente maiale) e sesso. Considerato che le cerimonie hanno luogo ogni due giorni, non è certo uno stretto osservatore delle regole per aver copulato tanto anche se forse, deduco, per loro queste regole non valgono.
Manca poco a mezzogiorno, il mio ultimo pasto risale esattamente a ventiquattro ore fa. La dieta prevede due zuppe insipide nei giorni normali che si riduce a una quando c’è la cerimonia e per abituare il mio stomaco a tanta penuria ho pensato di saltare la cena di ieri. Chiedo al ragazzo un bicchier d’acqua e gli dico che sono a digiuno, mi risponde di non preoccuparmi, dirà alla moglie di prepararmi la zuppetta e di portarla nella mia suite. Ride mentre cammina a piedi scalzi sulla terra che a me risulta impervia e cerco di mantenermi in equilibrio per non affondare nel fango. Mi indica dove dormirò. Una capanna sopraelevata a cui accedere tramite una scala di legno con un’enorme zanzariera al posto delle pareti. Ci sta, siamo nella selva, anche se dubito sia totalmente immune dall’attacco delle zanzare.
In men che non si dica mi ritrovo sola e per non saper né leggere né scrivere tiro fuori la mia amaca con mosquitero e cerco il modo di mettermi al riparo dai fastidiosi insetti che entrano dalla porta non perfettamente aderente alla struttura portante della capanna. Tra poco mi porteranno la zuppetta e qualcosa da bere, dico ad alta voce per mettere a tacere il mio stomaco mentre mi cullo sull’amaca accompagnata dai suoni della natura che mi fanno sentire più che mai una persona fortunata. Peccato che nel giro di pochi minuti quei suoni vengano coperti dallo scroscio della pioggia che attacca furiosa all’improvviso.

Mi rilasso convinta che smetterà presto e scivolo tra le braccia di Morfeo. Il luogo è magico, conciliante, e quando riapro gli occhi sono trascorse tre ore. Mi guardo intorno speranzosa di trovare la scodellina sull’uscio della porta ma non c’è nulla, a parte la pioggia che non accenna a diminuire. Lo stomaco, ormai rassegnato, smette di brontolare. Attorno a me c’è il pantano, non ricordo la strada per raggiungere la casa e comunque ormai è tardi per mangiare per cui me ne faccio una ragione e mi concentro su dove mi trovo, quasi ipnotizzata, letteralmente in estasi e assorta nei suoni, i colori e i profumi di cui la Madre Terra mi sta rendendo omaggio in questo momento. Passano le ore, lente ma piacevoli, e sopraggiunge la notte, dannatamente oscura. Sono un po’ in ansia, ha smesso di piovere ma fuori è tutto allagato e spero al buio di riuscire a trovare il sentiero per la maluca dove si terrà la cerimonia.
Chiaramente lungo il tragitto affondo interamente il piede nel fango e rischio di caderci dentro. Comincio a innervosirmi e a imprecare dentro di me per essere tanto maldestra. Intravedo in lontananza la casa dello sciamano e capisco di aver sbagliato strada. Pace e amen, penso avvicinandomi. Non ho proprio voglia di perdermi.
Un ragazzino indossa gli stivali di gomma e mi precede iniziando a sguazzare nel fango. Lo seguo cauta fino alla maluca. Mi tolgo le scarpe ed entro. Al centro un’enorme lanterna accesa da cui diramano quattro materassini con coperta, carta igienica e secchiello per vomitare. Due sono occupati, mi sdraio sul terzo e aspetto. Il profumo del palo santo che impregna l’aria mi rilassa terribilmente. Sono quasi in fase rem quando la moglie dello sciamano si avvicina per dirmi di alzarmi, la cerimonia sta per avere inizio.

Don Luis è seduto davanti alla lanterna e comincia a chiamarci uno dopo l’altro per darci la nostra razione di ayahuasca. Io sono l’ultima e osservo gli altri prima di me. Trovo tutto molto intenso, intimo, toccante. Quando arriva il mio turno mi alzo e mi siedo davanti a lui che mi porge l’ayahuasca invitandomi a berla. Il sapore è più amaro e disgustoso di come lo ricordavo, sarà che non bevo da dodici ore e avrò fumato nel mentre sei mapacho ma faccio davvero fatica a mandarla giù. Gli altri, attorno a me, hanno tutti una bottiglia d’acqua, io sono l’unica sprovveduta.
Torno al mio posto, mi sdraio e aspetto che la pianta inizi a penetrare dentro di me e a pulirmi. In un modo o nell’altro deve uscire dal mio corpo, che sia dalla bocca o dal sedere poco importa. La prima volta mi è rimasta dentro e il giorno dopo avevo la febbre alta, a sto giro ho seguito le regole pre-dieta quasi alla perfezione per cui dovrebbe essere più facile. Con Don Luis che inizia a intonare gli icari scivolo in un sonno profondo di cui non ricordo assolutamente nulla. Non so quanto tempo passo così ma di colpo salto su, mi precipito sul secchiello e tiro fuori l’anima. È una liberazione per me che non vomito mai e mi lascio cadere al suolo, a peso morto. Nuovamente, senza quasi accorgermene, ricado nel sonno profondo. L’unica cosa che ricordo è un nome, Marco, un amico perso di vista da più di vent’anni ormai.
Inizio a sentire l’odore del mapacho e percepisco la presenza di don Luis accanto a me. Mi giro e lo vedo, seduto davanti al mio vicino di posto. Lo ventila, canta, gli soffia il fumo addosso e poi gli sussurra qualcosa, nell’intimità. Quando si avvicina a me mi alzo e mi metto a sedere davanti a lui che inizia il rituale di chiusura della cerimonia. In pochi minuti il mio corpo passa dal caldo al freddo non so quante volte, ho un calo di pressione e poi, improvvisa, la sento farsi strada prepotentemente dentro di me. Faccio a malapena in tempo a girarmi e afferrare il secchiello che per poco non rovescio anche le budella, una seconda tranche totalmente inaspettata. Torno a lui che mi sussurra qualcosa di cui colgo il senso ma non distinguo le parole, poi si alza e riprende il suo posto mentre io mi sdraio, libera di lasciarmi andare.
È finita. Non ricordo nulla. Non ho visto passato, presente o futuro e non ho avuto risposte ma mi sento bene. Mi addormento nuovamente e quando apro gli occhi è giorno. Don Luis si prepara per il bagno, io sono la prima a seguirlo al ruscello e ad aprire il rituale. Mi spoglio nuda, senza vergogna, pronta a ricevere il getto d’acqua fresca e profumata che purificherà il mio corpo anche all’esterno. Un brivido mi percorre da capo a piedi, poi pian piano diventa piacevole e vorrei durasse all’infinito. Ringrazio don Luis e gli comunico che devo rientrare a Iquitos ma tornerò lunedì per un’altra cerimonia. Non mi chiede perché, ancora una volta mi dice, semplicemente, si es lo que quiere su corazón, está bien.
Perché me ne vado? Perché penso di non aver bisogno di tutto questo per connettermi con la natura. La giornata di ieri è stata incredibile, oserei dire molto più della nottata, ma stare isolata qui per quindici giorni privandomi di tutto, anche del piacere di lavarmi i denti con un sano dentifricio che specialmente dopo aver vomitato è una manna dal cielo non fa per me. Mi sono connessa con la Madre Terra ancor prima di arrivare qui, quando ho iniziato a percorrere il sentiero nella selva, e mi ci connetto ogni qualvolta mi trovi in un luogo come questo in cui l’energia è talmente intensa da diventare palpabile. A che pro restare? Pagare per soffrire non è una cosa che mi aggrada e mi costa meno tornare a fare le cerimonie che fermarmi qui. Perché mi sembra che ormai sia diventato un business di cui non voglio entrare a far parte. Perché non trovo giusto dover pagare tanto per una cosa che mi appartiene di diritto, la Madre Terra. Un diritto che qui viene venduto come privilegio e io non voglio alimentare questo business diretto agli occidentali che per ritrovare se stessi devono vivere esperienze alternative.
Mentre sistemo le mie cose nello zaino arriva don Luis. Sono sollevata, sicuramente vorrà parlare con me e sapere com’è andata ma no, è qui per i soldi della cerimonia e quelli della giornata di ieri. Mi coglie impreparata e non ho nemmeno la forza di ribattere, gli dico solo flebilmente che non ho mangiato né bevuto nulla e lui rilancia che per dormire sono cinquanta soles. Glieli do senza batter ciglio, sono serena e non ho voglia di rovinarmi la giornata. Anche lui si è perso, come tanti, dietro al Dio Denaro, e per quanto possa capirlo non lo accetto. Sei venuto a cercarmi perché non ti fidavi di me? Temevi forse che me ne andassi senza pagare? Perché io dovrei continuare a fidarmi di te? Mi spiace Don Luis, non solo hai perso una cliente ma anche la possibilità di fare qualcosa di bello per gli altri e per te stesso. Lo congedo con un pizzico di rammarico e me ne vado, voglio raggiungere il sentiero battuto prima che scoppi a piovere. Il cielo ha l’aria minacciosa e il mio desiderio di incrociare un moto-taxi che mi porti al porto resta irrealizzato.
Svolto a destra e inizio a camminare. Giungo a un bivio e non sapendo dove andare seguo l’istinto e prendo a sinistra. Non ho un gran senso dell’orientamento e l’istinto funziona sempre, anche quando non mi porta dove dovrebbe. A un certo punto incontro un uomo con un carretto che trasporta un fascio di legna su cui è seduto un bambino. Gli chiedo se è la direzione giusta per il porto e no, sono completamente fuori rotta! Si offre di darmi un passaggio, sta andando a prendere la moglie che torna da Iquitos. Accetto volentieri anche se probabilmente non sarà un passaggio disinteressato.
Ci fermiamo a casa sua a scaricare la legna e nel mentre scoppia una pioggia torrenziale. Le strade, che sono sentieri in terra battuta, diventano impraticabili in men che non si dica. Grecia, la moglie, non ha certo atteso il marito al porto ma ha preso il primo moto-taxi disponibile ed è arrivata a casa prima di noi. Con este tiempo no vas a ningún lado – mi dice. ¿Tienes hambre? ¿Te gusta el pescado? Dio ti benedica Santa Grecia! Sono quasi quarantotto ore che digiuno per cui ringrazio con enfasi, forse anche troppa, ma se non metto qualcosa nello stomaco rischio seriamente di accasciarmi al suolo come uno straccio bagnato.

E così, senza bisogno alcuno di cercare, arrivo esattamente laddove volevo arrivare. Un focolare in cui mi hanno vista non come gringa ma come persona, un luogo in cui mi hanno accolta come una sorella e hanno aggiunto un posto a tavola per me benedicendo il mio arrivo, senza alcun se né alcun ma.
Trascorro la giornata a casa loro, condividendo la quotidianità di una famiglia serena e appagata di San Antonio de Picuru Yacu, nell’Amazzonia peruviana. Non mi chiedo se è igienico quello che mangerò o se domani passerò la giornata sul cesso e mi maledirò per essermi lasciata divorare dai mosquitos. Non mi chiedo nulla, sono semplicemente grata di essere con loro e di poter vivere un pezzo di vita che non mi appartiene ma che mi pare bella nonostante non ci sia nulla.
Grecia, trent’anni, discendente degli indios alamas di cui la madre parla ancora la lingua, una donna solare e ospitale che mentre mangiamo mi chiede se ho qualcosa che mi obbliga a tornare a Iquitos. Nada, rispondo ingenuamente. ¡Entonces quédate! – mi intima. ¡Claro que si! Non chiedo di meglio!
Windor Tercero, il compagno, ha trentasette anni. Era nell’esercito ma nove anni fa è tornato a Picuru Yacu per un incidente occorso alla madre, Amalia, che le ha causato l’amputazione di una gamba ed è sbocciato l’amore tra lui e Grecia che conosceva fin dall’infanzia. Sono entrambi nativi di qui, a dir tanto una trentina di famiglie, e non sono sposati ma si vede che sono complici, oltre che innamorati. Tre meravigliosi bambini – Jefferson, Windor Junior e Jesús, rispettivamente di sette, sei e tre anni – che trasmettono la gioia della semplicità. Un pasto delizioso a base di pesce fritto e platanito, caffè con leche (condensato) che mi pare più buono del miglior espresso italiano e una caraffa di acqua con limone – che mi prendo la premura di far bollire prima – tutta per me! Dopo di che, si comincia a lavorare.

Grecia ha un piccolo business, vende comida dal giovedì alla domenica davanti alla tienda del pueblito, e tutti indistintamente l’aiutano sia nella preparazione del cibo che nell’allestimento del ristorante. Tutti, incluso il piccolo Jesús che fa avanti e indietro dalla casa con piatti e bicchieri di plastica.
In men che non si dica lo spazio si anima di gente, giunge anche una ragazza che vende fette di torta alla vaniglia di cui vengo più volte omaggiata dagli acquirenti. Il pomeriggio scorre così, conversando con chi si avvicina e giocando con i bambini che non sono abituati a vedere un bianco e sono più curiosi delle scimmie. Qualcuno mi osserva a distanza, intimorito, quasi fossi un’aliena, ma i più mi toccano, mi parlano, mi chiedono, mi raccontano. Il piccolo Windor in particolare mi adora, non fa altro che saltarmi sulle ginocchia e stringermi forte riempiendomi di baci. Cingo il suo corpicino tra le braccia, sento un amore immenso verso di lui e verso questa gente così dannatamente umana.
Quando mi capita di vivere momenti così mi rendo conto di quanto il denaro rovini la gente e di quanta ricchezza l’avere tutto ci ha privato. Spero sempre di ricordare questi momenti quando sono li, nella parte di mondo a cui appartengo e da cui mi lascio assorbire e imbruttire, come un po’ tutti noi. O forse no, forse tu riesci a essere sempre bello, sempre uguale, sempre solare. Io, non mi vergogno a dirlo, quando sono in viaggio mi sento più bella. Nel mio zaino ci sono due pantaloni, un vestitino e un paio di shorts, non ci sono creme, non ci sono trucchi, non ci sono gioie, eppure priva di tutto mi sento bella perché sono felice. Sto vivendo emozioni talmente forti che se potessi congelare il tempo in un istante lo farei, qui e ora…

La Globetrotter
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Come racconti tu… interessante e si sente la vera Diana!
Il momento magico ti è arrivato comunque… Anche per noi che leggiamo… Grazie
Si per fortuna è arrivato… se non fossi andata da don Luis probabilmente non l’avrei avuto!
Cara Diana ho letto con piacere il tuo racconto, scritto molto bene e pure con il giusto pathos, se mi posso permettere.
La tua esperienza con il “curandero” è stata per me di grande tristezza e il tipo lo annovererei fra i ciarlatani, secondo le mie esperienze. Tuttavia mi ha riscaldato il cuore la famiglia con la quale poi hai diviso momenti indimenticabili: questo è il vero Perù, il paese che amo.
Grazie per condividere le tue esperienze ed emozioni. Un abbraccio.
Grazie infinite Gabriele! Se sia ciarlatano o meno non so dirlo, o meglio… ricordo che ci sapeva fare ma a sto giro ho sentito anche un’energia diversa, per questo me ne sono andata. E per fortuna visto quel che è arrivato dopo!
Grazie Norma!
Io non posso far altro che innamorarmi del tuo scritto, ma son di parte e già lo sai ❤️
Ahahah vero Giga però vero è che è scritto bene!
Bellissima cronaca di un viaggio davvero interessante! Bravissima come sempre ma ancora di più quando ti lasci prendere dalle emozioni che ti suggerisce l’umanità più “bella” che, per nostra fortuna, esiste ancora!! Grazie per averle condivise….Un abbraccio
Si Joe per fortuna esiste ancora e sarebbe una palestra di vita per molti di noi…
Che esperienza Diana! Grazie per averla condivisa!
Grazie a te Giuppy!
Sembra di vivere l’esperienza. Letteratura dello scoprirsi veri e vivi. Grazie per la testimonianza che spero ci commenterai appena ci vediamo.
Si certamente vi racconterò quanto prima per il consueto raduno quando scendo…
Diana! Bellissimo. Personalmente preferisco l’umanità della famigliola alla cupidigia dello sciamano (E penso anche te) ma se tu non fossi andata da Don Luis non avresti incontrato Gracia! ?
Assolutamente d’accordo con te!
Scrivi in modo meraviglioso. Ho letto veramente con piacere la tua incredibile avventura. Condivido in pieno su quanto il denaro ha contaminato tanti posti.. troppi, ed esperienze anche a loro legate che erano uniche perché basate sulla semplicità e purezza che così viene in parte persa. Continua così: obiettiva, semplice, forte nonostante tutto. Sarebbe bello leggere un bel libro con le tue avventure. Buena onda Amiga.
Gracias querida! Il libro lo sto partorendo chissà, magari prima della fine dell’anno avrò il piacere di dirti… eccolo qui!
Mentre leggevo sentivo salire l’ansia per la tua sorte…poi mi sono resa conto che eri tu a scrivere e ho tirato un sospiro di sollievo…. racconto perfetto direi.
Grazie per aver condiviso l’ennesima esperienza di umanità nonché i colori vividi del tuo viaggio.
PS Da vera profana, anche io lo annovero tra i ciarlatani…ma tant’è…
I ciarlatani hanno un grosso problema… non hanno lungimiranza! Perché chiaramente don Luis non lo consiglierò più a nessuno!
Che bellissima esperienza vivere la tua di esperienza leggendoti e scendere frase dopo frase nella profondità intima di un viaggio alla ricerca della vera pienezza di se. Ricerca dove il freddo disagio della purificazione di don Luis al caldo affetto comunitario purificatorio della famiglia di Grecia sono tappe intermedie…e non è finita qua… Non vedo l’ora della prossima…
Non vedo l’ora anche io! Queste sono le esperienze che mi infondono vita e linfa vitale…
Ho trattenuto il fiato fino all’ultimo! Bellissimo racconto e grande esperienza di vita, quelle che ci piacciono tanto e che fanno il viaggio.
Don Luis..peccato per lui..
Come sempre i tuoi racconti emozionano..
Grazie Conny! Rievocavo oggi con due ragazze conosciute qui la nostra avventura alla comunità indigena di Nuqui Arriba. Ora quando ne parlo rido ma quel momento è stato abbastanza drammatico ricordo? Si, peccato per don Luis ma non avrei conosciuto la famiglia senza di lui per cui… grazie!
Cara Diana, i tuoi resoconti hanno la capacità di portarci ”altrove”, quasi come se fossero racconti fantasy e non emozionanti cronache di vita vissuta. Non concordo con le critiche di cupidigia e scarsa spiritualità dello sciamano: se era in grado di congiungere persone e spiriti nel 2015 sicuramente è in grado di farlo anche nel 2020. Ma come dici anche tu Diana, è il mondo attorno a noi che cambia e tanto per fare un esempio stiamo lottando in tanti contro quel nuovo amico/nemico che è lo smartphone. La tecnologia costa e forse anche lo sciamano non può più farne a meno nella sua vita reale. Sicuramente nel 2015 la sua vita e quella della sua famiglia in Amazzonia necessitava di poche risorse, mentre probabilmente nel 2020 gliene servono molte di più. Tutti noi che viaggiamo molto cozziamo continuamente contro la globalizzazione in tutti gli angoli del mondo, anche in quelli più isolati.
Si questo è vero Lauro e sono contenta tu abbia detto la tua però sai anche, perché mi conosci personalmente, che sono un’idealista s che ancora non mi sono piegata del tutto a queste logiche di cui vogliono renderci schiavi…
Racconto toccante…letto tutto d’un fiato mi hai lasciato senza fiato. Che emozioni sei riuscita a trasmettere….
Sono felicissima Mirko e spero in giorno di condividere con te parte di tutto ciò…
Ma che bel racconto Diana! E che avventura pazzesca. 🙂
Tra l’altro le cose non programmate, come l’incontro con la famigliola, si rivelano alla fine sempre le migliori. Anche (e soprattutto) nella loro semplicità.
Buon proseguimento e a presto!
Silvia
Grazie amica mia, sono d’accordo con te. Ed è nell’estrema semplicità che gli animi si incontrano e si riconoscono…
Una grande emozione la tua che trasmetti a noi!
Ti leggo con interesse, curiosità e tanta emozione!
Ma grazie infinite! Con le tue parole aggiungi senso a quello che faccio…
Ogni volta che ti leggo, capisco quale profondo filo ci lega e perché dal nostro incontro è nata un’Amicizia speciale e con la A maiuscola!
Un racconto intenso emozionante e sincero.
Me lo salvo tra le cose da leggere quando sono giù ed ho voglia di partire 🙂
Paz Y Amor, socia!!
Sono d’accordo Riky ed è questa la ragione per cui hai le porte sempre aperte a casa mia, quella reale come quella virtuale!
Una ventata di gioia di vivere, di voglia di fuga, dalla mia triste scrivania, pensando al mondo meravigliosamente descritto da te, che ci apsetta fuori dagli uffici! Grazie Diana ora vado a dare le dimissioni 🙂
Bell’effetto che ti faccio! Ma come diceva qualcuno (non ricordo chi) la libertà è impagabile!
Io avevo passato qualche giorno a S. Martin di Tipishuaca ma era a un giorno e mezzo di navigazione da Iquitos. Bei ricordi
Immagino! Io andrò non so bene dove dopodomani ma comunque non così dentro…
Bellissimo racconto Diana… alla fine credo tu l’abbia trovata la vera Pacha Mama! Continua a farci sognare :*
Contaci! E mi sono anche liberata di un macigno… sai bene a cosa mi riferisco!
Mentre leggevo questo racconto delle tue esperienze vissute nell’Amazzonia peruviana mi sono lasciata trasportare dalle tue emozioni, cercando di immaginarti lì in questi luoghi così tanto diversi in tutti i sensi, dove sembra vivere uno spirito così incredibilmente positivo. Bello! Grazie di regalarmi dei momenti così!
Non ti nascondo Petra che non è stato immediato. I primi giorni, dopo il mio arrivo, sentivo ancora addosso tutta la negatività e la pesantezza degli ultimi mesi ma poi, come sempre, il viaggio mi da tutto…
Basito, incredulo, praticamente col magone sino alla fine un misto di terrore e gioia per te. Questo è quello che mi rimane dopo innumerevoli volte letto. STRAORDINARIAAAA
Lusingata e felice caro Alfonso! Grazie mille…
Oggi avevo bisogno di qualcosa di speciale, non sapevo dove trovarlo, poi di colpo esclamo “lo scimano” ma già l’ho letto? Chi se ne frega è unico, e nel racconto c’è la vera Globetrotter allo stato puro. Tutto qui
❤