Chi di voi conosce, anche solo per sentito dire, l’antico Regno di Dahomey e la sua capitale imperiale Abomey? Non molti immagino e a onor del vero non ne saprei nulla nemmeno io se la voglia di uscire dai sentieri battuti non mi avesse spinta anni addietro verso Togo e Benin, i due paesi meno turistici che abbia visitato in vita mia.

Qualcuno obietterà che se non sono turistici è perché, con ogni probabilità, non hanno nulla di interessante che possa giustificare il viaggio ma io, che chiaramente discordo, mi chiedo e vi chiedo… secondo chi? Chi decide cos’è interessante e cosa invece non lo è? Chi decide cosa promuovere e cosa no? Più passa il tempo e più mi convinco che il turismo sia solo un ingranaggio della Matrix che ci sovrasta e manipola le nostre scelte (e spesso anche le nostre mete) e abbia in sostanza ben poco a che spartire con il viaggio in senso stretto. Mi spiego meglio.

Qualcuno (chi sia non lo so!) decide che per essere un viaggiatore doc bisogna aver visto l’aurora boreale ed ecco che improvvisamente l’aurora boreale diventa il sogno recondito di ognuno di noi. Dopo un po’ qualcuno – se sia lo stesso dell’aurora boreale o meno non è dato saperlo – inizia a ventilare l’idea che un viaggiatore non possa definirsi tale se non ha visto il gorilla di montagna ed ecco che magicamente anche il gorilla di montagna diventa il nostro desiderio più intimo, quello che non ci fa dormire la notte e che dobbiamo materializzare a qualunque costo.

Sto esagerando, è chiaro, quantomeno nel modo di esprimermi perché non credo di essere poi così distante dalla realtà. Dietro l’aurora boreale e il gorilla di montagna (che peraltro ho avuto il privilegio di incontrare personalmente lo scorso anno) ci sono ovviamente business di altissimo livello che difficilmente toccheranno mai Togo e Benin ma da qui al ritenerli totalmente privi di interesse c’è un abisso.

E poi, concedetemelo, lo spirito del viaggiatore dovrebbe essere intriso dal gusto della scoperta e dell’esplorazione e per quanto incredibile possa essere assistere al fenomeno dell’aurora boreale e incontrare il gorilla di montagna… non sarà certo questo a fare di noi dei moderni Marco Polo.

E ora, dopo aver dato libero sfogo ai miei pensieri vagabondi ben distanti dal tema oggetto di quest’articolo, torno al mio posto e inizio a raccontarvi di Abomey e del Regno di Dahomey. Considerato che qualcuno di voi ne avrà le scatole piene di leggere le mie storie, vorrei dare a questo blog un taglio culturale che trasmetta non solo emozioni e informazioni utili ma anche conoscenza, quantomeno quella acquisita viaggiando che è l’unica in grado di conciliarsi con il mio intelletto pigro. 

Se dico Togo e Benin qual è la prima immagine che visualizzate (immigrazione clandestina a parte)? Probabilmente molti di voi assoceranno entrambi i paesi alla tratta degli schiavi e/o ai riti vodù (ho scritto un reportage e due racconti onirici sul tema, vi lascio i link in calce a questo post) e forse qualcuno si spingerà oltre con l’esistenza, a nord, delle case fortezza dei Batammariba (note come Tata Somba)… ma quanti di voi sono a conoscenza del passato glorioso di questa parte di continente prima che arrivassero i colonizzatori francesi di cui ancora oggi è possibile ammirare qualche testimonianza ad Abomey, 130 km a nord della capitale Cotonou?

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Il vodù ad Abomey

Concludendo, Togo e Benin sono sicuramente due paesi marginali per la maggior parte dei viaggiatori che sanno poco o nulla in proposito e io oggi cercherò di raccontarvi qualcosa (senza pretesa alcuna di esaustività).

Scrivere di temi poco dibattuti, così come leggerli, salva dal rischio di replicare concetti già noti e, contestualmente, di annoiarsi. Sarete in pochi a seguirmi ma come si suol dire… meglio pochi ma buoni!

I Palazzi Reali Abomey e il Regno di Dahomey

I Palazzi Reali di Abomey sono la testimonianza materiale del Regno di Dahomey sviluppatosi a partire dalla metà del XVII secolo in quella che oggi è conosciuta come West Africa secondo il precetto enunciato dal suo fondatore – Houegbadja – “che il regno sia sempre più grande”.

Tra il 1625 e il 1900 dodici re si succedettero al trono del Regno di Dahomey che si affermò come uno dei più potenti della costa occidentale dell’Africa conquistando alcune città chiave – tra cui Ouidah – e diventando uno dei principali luoghi della tratta degli schiavi atlantici.

Fatta eccezione per Akaba, il terzo sovrano della dinastia, tutti gli altri re edificarono il loro palazzo all’interno di una stessa area circondata da muri d’argilla e paglia, uno accanto all’altro, seguendo la successione al trono.

Secondo alcune fonti l’origine del nome Dahomey sarebbe legata proprio ad Akaba che fece costruire il suo palazzo lontano dagli altri, sugli altopiani di Abomey, e avrebbe chiesto terreni addizionali a un capo importante di nome Dan che in maniera sarcastica gli avrebbe risposto “devo aprirmi la pancia e costruire una casa per te?”. Davanti a un tale affronto Akaba reagì uccidendolo e iniziò a edificare in quello stesso punto il suo palazzo: il nome del regno deriverebbe quindi da Dan = serpente, xo = ventre e mê = all’interno (da cui Danxome, Danhome, Dahomey).

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Alla scoperta di Abomey, capitale imperiale dell’antico Regno di Dahomey

Ogni palazzo si articola attorno a tre corti – esterna, interna e privata – e si caratterizza per l’uso di materiali tradizionali e di bassorilievi policromi che gli conferiscono un grande valore storico, artistico e culturale. Utilizzati come elementi decorativi, i bassorilievi rappresentano un’importantissima fonte documentale sull’evoluzione dell’impero con la glorificazione delle vittorie militari delle donne guerriere (le note Amazzoni di Dahomey) e dei poteri dei singoli re ma anche con l’esposizione di miti, costumi e rituali del popolo.

Dichiarati Patrimonio dell’Umanità nel 1985 (quantomeno l’UNESCO ne riconosce l’importanza), i palazzi oggi non sono più abitati ma quelli del re Ghézo (1818 – 1858) e del re Glélé (1858 – 1889) ospitano il Museo Storico d’Abomey che illustra la storia del reame e la sua simbologia. La celebrazione più o meno regolare di cerimonie tradizionali e l’organizzazione di lavori di restauro degli edifici realizzati in occasione di manifestazioni particolari ne rafforzano il carattere d’autenticità e raccontano tanto sulla volontà d’indipendenza, resistenza e lotta contro l’occupazione coloniale

Ostile alla penetrazione europea e alla dominazione francese, il Regno di Dahomey resistette fino al 1892 quando fu costretto alla resa dalle truppe del colonnello Dodds e da lì iniziò il suo rapido declino con la conseguente perdita della maggior parte delle sue ricchezze.

Nel 1894 entrò a far parte dei domini dell’Africa Occidentale Francese e fu solo nel 1975, dopo 15 anni dall’indipendenza come Repubblica del Dahomey, che nacque a tutti gli effetti l’attuale Repubblica del Benin.

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Alla scoperta di Abomey, capitale imperiale dell’antico Regno di Dahomey

La Globetrotter

E tu, hai mai viaggiato in Benin o pensato di farlo? Quali le tue motivazioni? Ti aspetto nei commenti.

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4 pensieri su “Abomey, capitale imperiale dell’antico Regno di Dahomey

  1. Alfonso dice:

    Sicuramente sono la persona meno idonea a commentare questo post (delizioso) non essendo un viaggiatore ma semplicemente un turista pirla(non certo per vocazione) ma che la dea bendata ha dato il privilegio di conoscerti aprendomi gli occhi dove prima ero bieco. Chi decide lo status da raggiungere per essere codificato come viaggiatore? Nessuno, il luoghi sbandierati da visitare vengono tracciati da un marketing commerciale dopo tutti come coglioni seguono quel carro manipolato da pseudi viaggiatori/ci. O blogger solo avidi ai loro interessi.Tu rimani te stessa con fierezza lontano da quel carro citato, un caloroso abbraccio amica mia….Grazie di tutto Diana con affetto Alfonso

    • Diana Facile dice:

      Grazie mille Alfonso, sei sempre molto caro… e come ti dico spesso, spero di essere sempre all’altezza delle tue aspettative che secondo me sono altissime! Un forte abbraccio

  2. Marco dice:

    Andrebbe forse ricordato che Regno dello Dahomey era ben noto per il suo quasi permanente stato di guerra con gli stati/regni confinanti al fine di espandere i suoi territori ed traendo consistenti profitti dalla vendita degli schiavi (prigionieri di guerra di altre etnie) dal remunerativo mercato degli schiavi destinati alle Americhe.

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